Era un eroe solitario quel magistrato protagonista del Il giudice ragazzino (1994), premiato al Festival di Berlino, che Alessandro di Robilant aveva tratto dall’omonimo libro di Nando Dalla Chiesa, storia vera del giudice siciliano Rosario Livatino assassinato nel 1990 per il suo impegno nella lotta contro la mafia agrigentina.
E un eroe solitario era anche il suo don Luigi Di Liegro, il fondatore della Caritas, protagonista de L’uomo della carità (2007), film tv con il quale di Robilant ripercorreva le tappe fondamentali di una vita dedicata ai dimenticati della società.
E ancora una volta degli eroi silenziosi troviamo in Marpiccolo, liberamente tratto dal romanzo “Stupido” di Andrea Cotti, in concorso nella sezione ‘Alice nella città’ al Festival di Roma, il prossimo 20 ottobre. Cuore del film è Tiziano, un giovane sottoproletario di talento, il cui futuro sembra già deciso in quel quartiere di Taranto sud, dove i bus non passano mai, le case sono prefabbricate e le strade dissestate. Tiziano vive alla giornata, tra i veleni della fabbrica Ilva sullo sfondo, lo strapotere del boss locale e una famiglia con molti problemi, a cominciare dal padre disoccupato. Per fortuna Tiziano non è solo e forse una possibilità c’è ancora, grazie proprio a chi vive al suo fianco.
E proprio a Taranto è previsto un evento insieme cinematografico e musicale con l’anteprima di Marpiccolo il 3 novembre nel quartiere Paolo VI, accompagnata dal concerto del gruppo Mokadelic che ha curato colonna sonora.
Marpiccolo è una coproduzione Overlook Production e Rai Cinema, in collaborazione con l’Apulia Film Commission e con il contributo del MiBAC, e vede la partecipazione, accanto ad attori non professionisti, di Michele Riondino, Giorgio Colangeli, Valentina Carnelutti e Anna Ferruzzo.
E’ la prima volta che si cimenta con la vicenda di un adolescente?
No, Il nodo alla cravatta, realizzato nel 1991, aveva come personaggio centrale un 13enne alle prese con una famiglia oppressiva alto borghese. Era una storia più intima, più familiare, di un ragazzo complicato e poco amato, spedito in un collegio di Salesiani. Qui invece lo sguardo è rivolto più sull’ambiente sociale e il ragazzo è più grande d’età.
Come ha scoperto il romanzo “Stupido” di Andrea Cotti?
E’ stato il produttore Marco Donati a suggerirmi di leggerlo. Subito mi ha colpito l’efficacia del protagonista, la sua vitalità compressa che andrebbe a buon fine se utilizzata bene, ma anche l’esatto contrario. Leggendo il romanzo ho subito pensato come i luoghi dove si nasce siano determinanti nella possibilità di avere un’esistenza positiva o negativa.
Nel libro di Cotti l’ambientazione non è indicata, mentre lei ha scelto che la vicenda si svolga a Taranto.
Ho viaggiato molto al Sud e quando mi sono imbattuto in Taranto, l’ho trovata un luogo perfetto per la vicenda narrata dal romanzo. Un posto controverso, affascinante dal punto vista visivo perché convivono e si confondono la storia della Grecia antica e la mostruosità industriale, creando uno scenario intenso ed efficace. E poi Taranto era stata poco vista al cinema, di recente solo Edoardo Winspeare ha girato nella città vecchia alcune sequenze de Il miracolo. E poi c’è stato il tentativo abortito di girarvi un film tv da parte di Lina Wertmüller che ha scelto poi un’altra location. Forse altri film del passato vi sono stati girati, ma è un set poco visitato, nonostante questa sua doppia personalità, storica e industriale, offra panorami forti.
Il film ha conosciuto una lunga fase di preparazione?
Sì, una volta scelto il luogo delle riprese, ho capito che dovevamo essere accettati. Il quartiere ‘Paolo VI’ è una zona della città ad alto rischio, con tutti i problemi sociali immaginabili. L’approccio è stato graduale, sei mesi di viaggi tra visite e incontri con gli abitanti per farsi conoscere, tutto grazie alla preziosa collaborazione di Mary, una signora che ha fatto da tramite, senza il cui aiuto non avremmo potuto lavorare in questo quartiere presidiato. Chiunque entra viene subito mandato via se non ha una buona ragione per esserci. Importante è stato il contributo di Giovanni, un operatore sociale che vive nella Taranto vecchia, che ci ha messo in contatto con questa donna. Così come sono state indispensabili alcune presidi delle scuole medie del quartiere. Questa presa di contatto ha fatto capire agli abitanti che venivamo in punta di piedi, con rispetto e con il desiderio di raccontare in modo veritiero la loro realtà. Non a caso ho trovato gente di grande cuore e vitalità e spero che la stessa impressione restituisca il mio film.
La difficoltà più grossa?
La preparazione per avere tutto disponibile e soprattutto la ricerca del giovane protagonista, Tiziano, che è stata molto lunga. Abbiamo battuto a tappeto tutte le scuole, associazioni e palestre di Taranto, Bari e Lecce, vedendo 4mila ragazzi. Poi, come accade spesso, l’interprete è stato trovato in modo casuale. Giulio Beranek non pensava proprio di venire ai provini. Ad un certo punto della nostra ricerca abbiamo detto alle presidi: non mandateci tutti i bravi ragazzi, fateci incontrare quelli tosti. E una preside ci ha risposto: ho chi fa per voi e ci ha indicato Giulio, un ragazzo speciale, il quale appena entra in classe apre la finestra, si lancia fuori e va a giocare a calcio. Questo è il suo modo di stare a scuola, ma con risultati scolastici buoni perché è un ragazzo molto intelligente. Infatti dopo due giorni di preparazione al set Giulio aveva capito tutto, eravamo sorpresi per la sua capacità di recitare con naturalezza e credibilità.
Giulio è un giostraio e proviene da una famiglia di circensi.
Porta dentro di sé questo ambiente assolutamente unico, fatto di un’umanità varia e itinerante, gente abituata a vedere di tutto e a stare con qualsiasi razza e colore. Giulio è metà ceco e metà italiano ed è cresciuto in Serbia, insomma un papocchio culturale interessante. Questo retroterra l’ha conservato nel film ed è la ricchezza del suo personaggio.
Altri attori non professionisti?
Selenia Orzella che è Stella, la ragazza di Tiziano. Nella vita fa la ballerina in tv con la passione per la recitazione, l’ho scoperta durante un casting a Roma. E nel ruolo di un amico di Giulio c’è anche un ragazzo africano, del Madagascar, che parla tarantino.
Il nucleo del film ruota intorno a queste umiliati e offesi che provano a vivere un’esistenza dignitosa, nonostante il contesto degradato e difficile.
Sì, e malgrado tutto vivono con tanta vitalità e allegria. Non è gente abbacchiata e chiusa nelle proprie stanze, ma combattiva. Ride, scherza, si dà da fare come se la vita offrisse loro molto di più. La forza del film sta proprio in queste donne reattive e capaci di non mollare, anche perché la struttura sociale di quel microcosmo s’appoggia sulle spalle di queste donne.
Di fronte all’assenza di un progetto politico, restano dunque solo queste persone che resistono, e non si danno per vinte?
Esatto. Non ci sono progetti, e loro sono abbandonati a se stessi, relegati in quel quartiere che è una sorta di recinto. Ci sono l’impegno e la solidarietà dei singoli, di coloro che ogni giorno lavorano nelle scuole, nella parrocchia: la professoressa, il giovane prete, la suora. I soliti eroi silenziosi di cui non si parla mai, sono loro gli unici punti riferimento. Come lo sportivo che dirige una palestra di pugilato, dove porta e allena i ragazzi. Sono persone che lavorano con passione, e da soli tengono in piedi delle istituzioni sociali che impegnano i ragazzi del quartiere, tenendoli lontani dai guai.
Il film lancia allora un messaggio di speranza?
Sì, quello di non abbattersi, di combattere, perché qualcosa si riesce a fare comunque.
Che commento musicale ha voluto?
La scelta è frutto di una lunga ricerca. Mi sono allontanato da una strada tradizionale legata alla musica popolare pugliese, ho cercato sonorità più moderne, vicine all’età del protagonista e che ricordano il ferro, l’acciaio dell’Ilva, la fabbrica metallurgica che fa da sfondo alla storia. Ho contattato così i Mokadelic che ho ascoltato per la prima volta in Come Dio comanda di Gabriele Salvatores. La loro musica ha conservato anche una luminosità che restituisce i colori e il caldo di questa terra del sud.
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