“Finalmente un Leone sincero”. Alessandro D’Alatri, Prix Sergio Leone ad Annecy Cinéma Italien 2005, ha commentato così il riconoscimento ottenuto in Francia per il suo La febbre. Il riferimento garbato a qualche felino del nostro cinema è esplicito e il regista, che ha subito parecchi guai nella produzione del suo film recente, non si lascia sfuggire l’occasione di poter dire la propria.
Ma, ancor prima della nota polemica, ringrazia la giuria di Annecy che gli ha attribuito questo riconoscimento: “Mi fa particolarmente piacere ricevere questo premio perché si tratta del primo riconoscimento internazionale importante al mio film, dopo quello italiano del Presidente Ciampi”. Ad Annecy il giornale “Haute Savoie” ha accolto La febbre, come “il film italiano che bisogna assolutamente vedere”.
Dopo il festival di Pierre Todeschini e Jean Gili, il regista accompagnerà La febbre in altri rassegne internazionali, da Washington a Budapest, Chicago, Amburgo e Tokyo. Intanto sta già scrivendo un film, che verrà prodotto quasi certamente da Cattleya.
Lei ha ottenuto il premio Flaiano, il Premio De Sica, il Fellini e ora il Leone…
Tutti premi dedicati ad autori che amo molto, ma questo intitolato a Sergio Leone mi fa particolarmente piacere perché lui è stato un regista che ha saputo coniugare arte e industria, intrattenimento e sentimento. Il suo lavoro era poesia e ha fatto il giro del mondo. Tra l’altro Carlo Simi, suo scenografo e costumista, ed io eravamo molto amici. Non nascondo una certa emozione, perché so che Carlo sarebbe stato molto contento di questo riconoscimento. Conobbi Simi nel 1991 quando lui, dopo aver visto Americano rosso, alzò la cornetta del telefono e mi chiamò. Mi disse: “Giri come Sergio da giovane”. Da quel momento non ci siamo più lasciati.
Lo scorso anno il premio era andato a Bellocchio, quest’anno a lei da un giuria presieduta da Giuseppe Piccioni.
Mi fa molto piacere essere riconosciuto a pieno titolo come un cineasta. In passato, venendo dalla pubblicità, ho faticato molto. Oggi sento con orgoglio di fare parte della famiglia cinema.
Passiamo al Leone meno sincero.
Può bastarle pensare che il mio film, pur essendo un film targato Rai, non è mai stato ospite di nessun programma televisivo tranne quello di Marzullo. La febbre è diventato un film autobiografico perché ognuno nella propria vita incontra il suo Cerqueti (il capoufficio del protagonista della Febbre, ndr.), il rompiballe che non lo fa esprimere e che lo limita. Questo Paese è afflitto dal problema enorme delle competenze sul lavoro. La mia è stata una brutta esperienza umana oltre che professionale ma, per fortuna, non vedrò più queste persone. D’altra parte sono un regista indipendente e pago per questo.
Intanto lei compierà un debutto importante nella regia teatrale e sta scrivendo il prossimo film che le verrà prodotto da Cattleya.
Nulla è certo. Per il momento, fra me e Tozzi c’è una stretta di mano, che con un produttore serio come lui vale più di qualsiasi contratto. Sto scrivendo la sceneggiatura insieme a Gennaro Nunziante. Questa volta voglio misurarmi con il riso. La storia dovrà essere molto divertente e politicamente scorretta. E’ un film sulla morale: quando ce n’è troppa, forse non ce n’è affatto. Quanto al teatro debutto a Bologna il 24 novembre. Il testo, che ha vinto il premio Salerno, si intitola Il sorriso di Dafne. E’ stato scritto da Vittorio Franceschi e costituisce una sorta di percorso agrodolce sulle scelte della vita, con un impianto narrativo d’ispirazione beckettiana. Le attrici sono Laura Ciurino e Laura Gambarin. Questo è un debutto nella regia teatrale, ma da piccolo ho recitato a teatro con Visconti nel Giardino dei ciliegi di Checov e con Strehler nelle Baruffe chiozzotte di Goldoni.
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