BERLINO – Tocca a un esordiente assoluto, Alessandro Aronadìo, inaugurare la presenza italiana al festival di Berlino. Due vite per caso corre nella sezione Panorama e fa discutere soprattutto perché rievoca i fatti del G8 di Genova nel 2001, seppure indirettamente. “E’ vero, il film richiama momenti drammatici della storia italiana recente, ma non è un film su Genova anche se sul catalogo della Berlinale ne parlano come di un’elaborazione poetica di quegli eventi traumatici”, spiega il regista. Trentaquattro anni, siciliano, laureato in psicologia con una tesi sul “doppio nel cinema di David Cronenberg“, che univa le sue due passioni, la psicologia e il cinema, un master in regia a Los Angeles, esperienza con Luc Besson ma anche con gli “irregolari” Ciprì e Maresco.
Ha una doppia identità anche quest’opera prima, girata in sei settimane con un milione e mezzo di budget, distribuita da Lucky Red, mentre delle vendite internazionali si occupa Intramovies all’EFM: il protagonista Matteo (Lorenzo Balducci) viene raccontato infatti di fronte a una svolta del destino in stile Sliding Doors. Un banale tamponamento sotto la pioggia può scatenare la furia di due poliziotti fuori di testa e drogati, un pestaggio, la rabbia di chi è vittima di un abuso di potere, la decisione di non accettare un lavoro come carabiniere. Ma se nella stessa notte Matteo facesse in tempo a frenare, le cose andrebbero diversamente, e non necessariamente meglio. Accanto a lui anche l’amico del cuore (Riccardo Cicogna) e due possibili amori, la determinata e ribelle barista Isabella Ragonese e la borghese Sarah Felberbaum.
Idea letteraria o spunto sociale e di cronaca?
L’idea viene da un libro di racconti di Marco Bosonetto intitolato “Morte di un diciottenne perplesso”. Appeno l’ho letto, ho contattato lo scrittore e gli ho chiesto di imbarcarsi con me in questa avventura, assolutamente senza paracadute. Finchè la sceneggiatura non è finita nelle mani di Sauro e Anna Falchi che hanno deciso di produrla con il sostegno dello Stato, convinti dagli aspetti onirici, diversi dal solito cinema italiano. Altri produttori prima di loro avevano detto di no, forse spaventati dalle tematiche o dalla struttura strana, forse perchè semplicemente non gli era piaciuta, comunque ora noi siamo qui a Berlino e loro no.
Allora il G8 c’entra davvero?
E’ stato l’elemento scatenante, in Italia quegli eventi sono una sorta di guerra civile che la nostra generazione non aveva mai vissuto e in parte non ha metabolizzato.
Pensa che ci saranno reazioni critiche verso il film per come rappresenta la polizia?
No, perchè i due poliziotti violenti sono due teste calde e non si vuole fare di tutta l’erba un fascio. Molte persone però mi hanno raccontato esperienze negative. Il potere può dare alla testa, la violenza nelle forze dell’ordine accade ovunque e se non si potesse rappresentare, tre quarti del cinema americano non esisterebbe.
Il film si conclude con un’immagine inquietante, Matteo affronta se stesso durante uno scontro tra carabinieri e manifestanti.
E’ vero, ma non volevo mostrare un Matteo buono contro un Matteo cattivo, per me resta comunque se stesso, con la sua personalita, anche se diverse esperienze lo portano dalle due parti della barricata, un ragazzo contro un ragazzo. Il film non vuole dire chi è buono o cattivo. Sono black out mentali, tragiche casualita. Ho rivisto il documentario di Francesca Comencini, Carlo Giuliani ragazzo, dove si ricostruisce il percorso che ha portato alla morte attraverso una serie di foto, è un percorso quotidiano che in nulla fa presagire quel tragico risultato.
“Due vite per caso” parla anche di lavoro e affetti precari, di una condizione giovanile particolarmente difficile e di grande solitudine.
Essere giovani in questo momento in Italia non è facile. Ti dicono che hai tutta la vita davanti, ma la societa ti da ben poco. Parafrasando i fratelli Coen, si potrebbe dire che l’Italia non è un paese per giovani, come invece è la Germania, che premia l’iniziativa dei ragazzi e infatti molti italiani si sono trasferiti proprio a Berlino. Insomma, il film esprime la rabbia e la frustrazione che mi vedo intorno, pur senza essere L’odio di Kassovitz, perchè non parla di criminali ma di ragazzi normali e senza pretendere di parlare per un’intera generazione.
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