La tragedia delle foibe: una pagina di storia troppo importante per lasciare che venga dimenticata, qualche volta addirittura negata. Ricordare, informare è l’intento della nuova fiction di Rai Uno, Il cuore nel pozzo (in onda in prima serata domenica 6 e lunedì 7 febbraio), ambientata nell’Istria del 1945 a ridosso della fine della Seconda Guerra Mondiale. Prodotta da Angelo Rizzoli per la “Rizzoli Audiovisivi”, la miniserie è interpretata, tra gli altri, da un intenso Leo Gullotta (nei panni di don Bruno), da Beppe Fiorello (il soldato Ettore), da Antonia Liskova (Anja) e dai piccoli Adriano Todaro (Francesco) e Gianluca Grecchi (Carlo). Scritta da Massimo De Rita, Salvatore Marcarelli, Luigi Montefiori e Alberto Negrin che ne ha curato anche la regia, Il cuore nel pozzo racconta le vicende di due bimbi, Francesco e Carlo, che vivono da vicino le atrocità dell’invasione dei soldati di Tito in Istria.
La fiction andrà in onda poco prima del 10 febbraio, data fissata per la prima volta quest’anno, per celebrare il “Giorno del ricordo”. E’ una responsabilità per Alberto Negrin, regista e cosceneggiatore di Il cuore nel pozzo.
“E’ una responsabilità che mi prendo ben volentieri. La tragedia delle foibe e degli italiani che sono stati uccisi sommariamente dai soldati di Tito mi ha colpito molto.
Confesso che non ne sapevo niente prima che mi venisse affidata la regia di questa fiction. Mi sono documentato molto e ho deciso di raccontare la storia a modo mio.
Questa è una storia di finzione, non un film storico. Ho solo voluto accendere una lampadina su una parte buia della storia d’Italia. Sta a chi viene dopo non lasciare che questa luce si spenga di nuovo”.
E’ vero che è solo una fiction, ma non sarà un caso che sia stato chiamato proprio lei a dirigere questo racconto visto che in passato ha fatto documentari d’inchiesta e film storici come Io e il duce e Perlasca, un eroe italiano.
Ho intervistato molti sopravvissuti a quella tragedia, ho ricevuto testimonianze scritte, tesi di laurea, ho letto libri, ma non ho voluto fare una ricostruzione di quelle esperienze. Ho voluto raccontare gli umori, i sentimenti di
quelle persone. La mia natura è quella di narrare in maniera epica. La chiave sta nelle emozioni. In questa fiction l’identificazione del pubblico è continua perché vengono raccontati i sentimenti in tutte le loro sfaccettature, c’è il sentimento dell’amicizia, dell’amore, dell’affetto paterno, del legame filiale.
Le emozioni sono suscitate anche dalle musiche curate da Ennio Morricone.
Lavoro con Ennio da quindici anni. Lo dico sempre: dovrebbe essere messo sotto protezione dal Wwf come una specie in via d’estinzione. Con lui abbiamo deciso di evitare le musiche traumatiche per lasciare spazio a quelle che sottolineassero i sentimenti.
Ne Il cuore nel pozzo non è mai usato il termine “comunista”, vengono definiti “titini”. C’è l’intento di essere politically correct?
Non viene usato il termine comunista semplicemente perché storicamente i soldati e le persone che aderivano al regime di Tito erano chiamati “titini”. In più l’intento di Tito era di fare pulizia etnica, il suo operato è stato di odio verso gli italiani in quanto tali, che fossero di destra o di sinistra a lui non importava. Ma voglio sottolineare una volta per tutte che il mio non è un film politico, né
ideologico. L’ideologia è la vera arma di distruzione di massa. La politica è un problema dei giornalisti non della mia fiction che è invece un racconto di persone.
Ci sono differenze di natura narrativa e registica con i suoi precedenti lavori, Io e il duce e Perlasca?
No. Il modo di approcciarmi è sempre lo stesso. Quel che mi interessa è raccontare i caratteri, l’umanità delle persone, le piccole storie di uomini, qualsiasi posto abbiano occupato nella grande storia. A proposito: ad aprile uscirà nelle sale cinematografiche degli Stati Uniti d’America, Perlasca, un eroe italiano. Sono molto orgoglioso di questo.
E il prossimo impegno dietro la macchina da presa?
La storia di un altro grande uomo: Bartali, sempre per Rai Uno.
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