Alberto Ferrari


Un film in costume, ambientato ai tempi della Grande Guerra, tra personaggi dell’alta borghesia tutta ricevimenti, convenzioni e duelli d’onore. Un film di discendenze letterarie, ispirato a Dio ne scampi dagli Orsenigo, il romanzo dello scapigliato Vittorio Imbriani, portato sul grande schermo da un regista nemmeno quarantenne come Alberto Ferrari che con Tra due donne fa il suo debutto ufficiale al cinema, dopo anni passati tra il palcoscenico, gli spot pubblicitari e la direzione della soap opera made in Italy Vivere.
Esordienti sul grande schermo anche i due protagonisti Gianmarco Piacentini e Francesca Giovannetti, al fianco di Alessandra Casella.
Il film, girato un anno e mezzo fa grazie al contributo statale, arriva nelle sale delle principali città italiane il 13 luglio, distribuito dall’Istituto Luce.

Come mai ha scelto di debuttare con una storia ambientata ai primi del Novecento?
Sono partito dal romanzo di Imbriani che, in realtà, si svolge intorno al 1860. La scelta è stata quella di renderlo un po’ più vicino ai nostri giorni, spostando la storia intorno agli anni della Prima Guerra Mondiale. Era il tempo della “belle époque”, un periodo affascinante che ci ha aiutato a non banalizzare i fatti.
In realtà, il momento storico e la stessa storia d’amore di quest’uomo diviso tra due donne non sono altro che un pretesto per raccontare altro. Il vero tema del film è figlio del contemporaneo: la disperata ricerca di non essere sconfitti dalla vita, di non rimanere incastrati dal proprio destino.

Girare un film in costume è anche una scelta costosa, quanto vi ha condizionato questa decisione?
Parecchio, perché abbiamo fatto di tutto per non andare fuori budget. Il prodotto finito è costato un miliardo e 400 milioni, molto meno di quanto serve per girare un’ora di fiction tv. Abbiamo girato velocemente, in quattro settimane, provando moltissimo fuori dal set per risparmiare tempo e pellicola. Ma soprattutto abbiamo dovuto rinunciare a riprese spettacolari e quindi – ad esempio – all’idea di ricostruire la Napoli di inizio Novecento. Insomma, questo è un film in costume, ma certo non realizzato con i mezzi che avrebbe avuto Ivory.

Un vincolo che avuto dei riflessi anche sulla storia?
Inevitabilmente, non potendo puntare su grandi scenografie d’effetto la scelta è stata quella di lavorare sui personaggi, sulla loro interiorità, sulle parole. Ecco questo è un film in cui la parola è vitale e necessaria, ma questa è probabilmente l’eredità che mi ha lasciato la mia lunga esperienza teatrale.

Anche il suo prossimo film sarà una pellicola storica?
Prima di parlare del mio prossimo film sarebbe il caso di trovare un produttore, ma la sceneggiatura io l’ho già pronta. Si intitolerà La casa sul mare e sarà ambientata ai nostri giorni. La protagonista sarà una donna che torna a casa per il funerale della madre dopo essere stata rinchiusa per tre anni in manicomio. Tutt’altro genere insomma.

autore
03 Luglio 2001

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