ALBERTO BARBERA


Pranzo con i giornalisti italiani per il direttore della Mostra. Nel piacevole salone di “Piemonte Background”, al terzo piano del Casinò, dove invitati ogni giorno diversi hanno assaggiato cucina, dessert e vini piemontesi – con qualche concessione al pesce “lagunare”. Deve essere quasi come stare a casa, per il torinese Barbera. Un’occasione per rispondere alle perplessità e correggere qualche gaffe.
Il concorso. Placido Rizzotto poteva entrare in gara, difatti siamo stati incerti fino all’ultimo. Ma cinque italiani in concorso erano troppi e poi c’era già un film sulla mafia, I cento passi. Comunque la selezione avviene sempre in situazioni di fretta, mai con calma: ho visto mille film in otto settimane.
Claudia Schiffer. Ha fatto i capricci. La sua conferenza stampa era prevista da due mesi. È arrivata in ritardo per colpa dell’aereo e non ha voluto comparire in pubblico con due ore soltanto di relax e make up. La Mostra ha una sua dignità: non aveva senso spostare ulteriormente l’appuntamento.
Mick Jagger. Tutta colpa del motoscafista. L’ha portato alla darsena del Casinò anziché all’Excelsior. È rimasto lì mezz’ora ad aspettare. Poi è entrato nel Palazzo del cinema in ritardo. Mentre in Sala già suonavano Satisfaction. A quel punto senza motivo apparente.
Vittorio Gassman. Non mi sento colpevole in nessun modo. Vittorio è morto a metà luglio, come sapete. Nel poco tempo a disposizione abbiamo cercato l’omaggio meno banale e più affettuoso: Di padre in figlio, che Gassman portò a Venezia nell’82, è un film a cui teneva tantissimo ed è poco conosciuto. È un film familiare ma forse, per la famiglia, il problema è proprio questo. Qualcuno si è sentito escluso, così alla fine non sono venuti e hanno acceso la polemica.
I film. Il mio preferito è L’isola, perché racconta il sesso e i rapporti interpersonali in modo originale, e dopo cento anni di cinema ce ne vuole. Un altro film importante è il portoghese Il fantasma, lo vedrete da voi. Peccato che ne stiate parlando troppo, quando si parla troppo di un film finisce per deludere.
L’Italia. È un annata soddisfacente per gli italiani. Temevo che quattro film in concorso, che non sono pochi, facessero scattare la voglia di criticare, invece I cento passi ha avuto un grande successo e questo ha spianato la strada anche agli altri.
Gli assenti. Ho tre rimpianti soltanto. Avrei voluto qui Godard, ma è impegnato sul set del film della moglie, poi Claire Denis, che ha guai per il fallimento della sua casa di produzione. E il primo film americano di Michael Winterbottom, sulla corsa all’oro. Come vedete due su tre sono francofoni: e non dite che snobbo il cinema francese.
Il futuro. Un modello è il Sundance, non per il concorso perché noi, quanto a storia, non abbiamo nulla da invidiare a nessuno, ma perché vorrei anche qui incontri tra autori e produttori, workshop, attività permanenti. Per il concorso continuerò a dare visibilità alle cinematografie diverse, al terzomondo, che altrove non ha spazio.
Hollywood. Gli americani cercano di rompere l’ultima linea di demarcazione: mandarci i loro film anche se sono già usciti altrove in Europa. Ma su questo non si deroga: non vogliamo diventare una Mostra strapaesana.

autore
03 Settembre 2000

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