Un bosco, luogo per eccellenza della fiaba, dove si va per perdersi e ritrovarsi, è il cuore del singolare film francese Miséricorde che in Italia esce con Movies Inspired dal 16 gennaio con il titolo di L’uomo nel bosco. Il regista Alain Guiraudie è una vecchia conoscenza dei cinefili e ospite fisso del Festival di Cannes con titoli come Lo sconosciuto del lago e L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice. Questa sua opera è stata addirittura eletta come miglior film del 2024 dai Cahiers du Cinéma, un’investitura di notevole peso e prestigio forse un po’ eccessiva ma non del tutto immeritata per un film che dichiara tutte le sue ascendenze, da Teorema di Pasolini al noir provinciale alla Chabrol. I critici italiani del Sncci l’hanno eletto Film della Critica con questa motivazione: “Posizionandosi con elevato sarcasmo tra noir e commedia sociale, Guiraudie si conferma narratore stratificato descrivendo una realtà di provincia paradossale con uno sguardo irriverente verso una normalità placida, identificando il suo giovane protagonista come la variante destabilizzante di ogni azione”.
Tra thriller, giallo e ronde sentimentale si muove dunque il personaggio principale, Jérémie (Félix Kysyl), un quarantenne che da Tolosa arriva in uno sperduto villaggio, portando un vento di sovvertimento nella vita quotidiana ripetitiva e piuttosto incolore degli abitanti del luogo.
Il motivo del suo viaggio è il funerale del suo antico datore di lavoro, il panettiere del borgo, con cui aveva un forte legame forse anche amoroso. La vedova Martine (Catherine Frot), lo accoglie quasi come un figlio e gli chiede di restare anche dopo le esequie suscitando la gelosia e l’insofferenza dell’irascibile figlio Vincent. Lui medita di rilevare la panetteria, avendo da poco perduto il lavoro a Tolosa, ma fondamentalmente rimane per immergersi nelle dinamiche di questo piccolo gruppo di persone di cui diventa il fulcro. Fin da subito infatti la tensione erotica tra i personaggi sale a livelli di guardia: Jérémie piace a tutti, uomini o donne, anche all’anziano parroco del paese e al forastico amico di vecchia data che vive in un casolare isolato ai margini del bosco eponimo, dove si va a raccogliere funghi ma anche a celebrare incontri che possono sfociare in esiti imprevedibili e persino funesti. I giorni e le notti si susseguono, le pulsioni anche aggressive emergono, i piccoli gesti si fanno significativi, le bugie si accompagnano alle mezze verità.
La “misericordia” del titolo originale c’è per tutti e dunque tutto sarà perdonato in nome dell’umano troppo umano con un ribaltamento a 360 gradi delle regole dell’etica e della convivenza. Persino un delitto appare “veniale” nella prospettiva che Guiraudie costruisce con una certa sapienza in una sospensione quasi onirica del tempo convenzionale.
Tutto parte dall’esperienza personale per il sessantenne regista: “Sono nato e cresciuto in un piccolo paese di campagna, quindi conosco piuttosto bene quel contesto e credo di avere il ‘diritto’ di raccontare storie ambientate in quei luoghi, senza cadere negli stereotipi. Al giorno d’oggi, il cinema francese è troppo incentrato sulla componente metropolitana, soprattutto quella parigina, e molte storie vengono spesso raccontate all’interno di appartamenti, uffici e, in generale, luoghi chiusi. Qui ho cercato di andare in controtendenza perché mi piace creare una sorta di cinema fuori dal tempo”. E ancora: “Rispetto ai miei film precedenti in questo l’omosessualità causa molti problemi. Voglio dire che gli omosessuali spesso sono ‘condannati’ ad amare persone che non sapranno mai ricambiare il loro amore. Inoltre, aspetto molto importante, volevo fare un film erotico senza mostrare scene a sfondo sessuale, mostrare tutte queste persone, il loro desiderio, ma anche il fatto di essere incapaci di un vero contatto sessuale con gli altri”.
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