Aki Kaurismäki: morta la pellicola, non farò più film


LECCE. Una cosa è evidente dall’incontro con il regista Aki Kaurismäki, a cui il festival di Lecce regala una personale, che Brad Pitt e Johnny Depp non gli stanno proprio simpatici e mai li sceglierebbe per i suoi film dove spesso tornano i volti e i corpi dei suoi attori feticcio, Kati Outinen e Matti Pellonpää, così espressivi e ricchi di rimandi alle persone reali e di tutti i giorni, e non icone planetarie senz’anima. Come dice l’autore finlandese nella didascalia di un’immagine della mostra fotografica ‘Ombre del paradiso’, a lui dedicata e allestita nel castello Carlo V: “Se gli attori non sorridono o non muovono le mani come un mulino a vento, sono scritturati”. Le due star americane non possono allora dare volto e parola a quel mondo, poetico e periferico, di emarginati, disperati e proletari che affolla la sua cinematografia: il guardiano notturno (Le luci della sera), l’anziano lustrascarpe (Miracolo a Le Havre), la coppia di contadini (Juha), lo smemorato (L’uomo senza passato), l’impiegato (Ho affittato un killer), il giovane minatore (Ariel).
Nella conversazione avuta con la stampa, e condotta da Massimo Causo, Kaurismäki, fumando nervosamente una sigaretta elettronica, ha giocato con le risposte e con le parole, e anche con chi nel porgli la domanda si è fatto scappare un ‘quando lei era giovane’. Kaurismäki si è alzato di scatto, ha sollevato di peso il giornalista, tra il divertimento generale, e gli ha chiesto ‘cortesemente’ di non usare il tempo passato.

Lei ha dichiarato che non intende rinunciare alla pellicola, che farà quando non ci sarà più?
Se non sarà più possibile girare film in pellicola, non farò più cinema. Da giovane lavoravo come elettricista, ma non credo che potrei ricominciare con questo mestiere.

Pessimista sul futuro del cinema?
Ci sono periodi buoni, nei quali incontriamo registi come Fellini e Bergman, e periodi bui in cui bisogna accontentarsi di quel che c’è. Se il mondo sta morendo, muore anche il cinema che è parte di esso. Pensate a Cary Grant e a Brad Pitt, potete capire dal confronto e dalla loro differenza, il periodo che stiamo vivendo.

Oggi il cinema come può raccontare i problemi della società?
Ho sempre pensato a mantenere negli anni il mio stile. Mi sento di essere non solo un regista, ma un appassionato di storie, perché viaggio all’interno di esse. Lavoro con gli occhi aperti su questo mondo. Il cinema, come ci hanno insegnato Zavattini e De Sica, è sempre basato sugli stessi temi. Non è un giocattolo, anche se lo sembra, che può essere cambiato quando si vuole.

Il suo amore per il cinema nasce dalla frequentazione di cineclub e cineteche?
Sono stato cinefilo fin da giovane, quando ho scoperto, durante un doppio spettacolo il realismo con Nanuk l’eschimese e il surrealismo con L’âge d’or di Buñuel.

Conosce il cinema italiano recente?
Vedo poco cinema contemporaneo, non so che cosa accade nel mondo cinematografico. Guardo per lo più film muti, Méliès, e le pellicole interpretate da Douglas Fairbanks anche se come attore di commedia non è tanto bravo quanto Buster Keaton, molto meglio invece come interprete di film d’azione. Certo Brad Pitt può essere al suo livello grazie solo agli effetti digitali. E poi guardo i western.

Come mai la musica è quasi sempre protagonista nelle sue opere?
Perché sono pigro, la creazione dei dialoghi richiede tempo e lavoro, mentre la musica è già pronta. Il cinema è fatto poi di immagine, storie e musica, tre elementi che non si possono separare.

Sul set come è il rapporto con il suo storico direttore della fotografia Timo Salminen?
Lavoriamo insieme da oltre 32 anni, durante le riprese non parliamo mai: lui si occupa delle luci e io della regia.

Il suo rapporto con la pittura?
E’ molto forte, del resto mia moglie è una pittrice, brava come Goya ed altri.

Ha mai pensato di girare un film in Italia?
Dopo che ho assaggiato il vino salentino, sto prendendo in considerazione l’idea. C’è però ancora qualche problema con la lingua italiana, il francese lo trovo più semplice, più comprensibile anche al cinema. I vostri film sono più complicati: a volte sono molto parlati e a volte no. Devo ancora farmi spiegare da Nanni Moretti alcuni dialoghi.

“Troppo cinico”, così definirono il suo stile, bocciandolo all’esame d’ammissione della scuola finlandese di cinema. Che avvenne?
Il test consisteva in una recensione critica di un film che mi venne mostrato, senza sapere che era stato realizzato da un insegnante di quella scuola. Il film era brutto e io scrissi una critica veritiera.

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