CANNES – Sarà distribuito in Italia da Teodora il film di Robin Campillo, 120 battements par minute, presentato oggi in concorso a Cannes e dedicato al gruppo di militanti attivisti Act Up Paris che negli Anni ’90 lottò per portare alla ribalta dell’opinione pubblica il problema dell’Aids, un’epidemia che, per una decina di anni, aveva fatto le sue vittime nel silenzio e nell’indifferenza più assoluta. “Negli anni novanta ero anche io un attivista militante e lo sono stato per diverso tempo”, racconta il regista che solo dopo diversi anni è riuscito a portare sullo schermo una vicenda che l’ha colpito molto da vicino. “Mi è capitato in quel periodo di dover vestire per un funerale un amico vittima dell’Aids, ma solo ora ho trovato il coraggio di ripercorrere quegli anni. Questo film nasce da una necessità bruciante e racconta un argomento molto importante, cruciale, della mia esistenza”. In un clima di negazione più assoluta le associazioni come Act Up diedero in quegli anni la possibilità ai malati di Aids, per lo più omosessuali o vittime dello scandalo delle trasfusioni di sangue infetto, di riunirsi, discutere, condividere i progressi scientifici sulla malattia e intraprendere azioni, spesso teatrali, per far capire al mondo cosa accadeva. “Era importante in quegli anni per i malati di Aids, in un certo senso prigionieri di una malattia vorace che non dava scampo ma che veniva tenuta nascosta, poter parlare liberamente, dare voce alla loro rabbia ma anche alla loro forte volontà di rompere l’indifferenza di una società che li lasciava morire”. Le persone, nella loro battaglia collettiva, si sentivano finalmente libere, anche se molto arrabbiate. In un’epoca senza internet e social network le organizzazioni non avevano, come oggi, la possibilità di trasmissione massiccia delle loro immagini. La televisione giocava un ruolo dominante nella trasmissione delle informazioni, e per questo le azioni programmate erano spesso estremamente teatrali. E il riunirsi fisicamente era l’unico modo per sentirsi appartenenti a una sensibilità e una lotta comune.
Non c’è volutamente, come ha sottolineato il regista, un’atmosfera che restituisce in maniera fedele l’epoca in cui il film è ambientato: “Voglio che lo spettatore senta il film molto attuale, non ho voluto forzare gli attori a parlare in un certo modo tipico di quegli anni. Volevo piuttosto raccontare una storia universale di amicizia, mutua solidarietà, fraternità e uguaglianza”. Nel cast, molto bel assortito, sia ragazzi alle prime armi che attori professionisti, tra cui Adele Haenel e Arnaud Valois. “Ho speso molto tempo a fare il casting, ho posto molto importanza nell’equilibrio del cast e nella relazione tra gli attori sulla scena, cui ho sempre chiesto la massima naturalezza. Ho voluto che si sentissero liberi sul set, dove utilizzavamo tre camere per riprendere simultaneamente la scena da varie angolature, in modo da dar loro la massima libertà di movimento”.
120 battements par minute, il cui titolo richiama il battito cardiaco accelerato ma è soprattutto un tributo alla house music tipica del periodo e rappresentativa della comunità gay, è un bell’affresco corale di un’epoca. Segue le vicende del gruppo di attivisti mostrandoli sia nei loro momenti collettivi di impegno politico che nelle loro vicende individuali. “Non mi sono concentrato solo sul dolore o sulla lotta politica, ma ho voluto anche mettere in scena momenti molto naïf, mostrare la tenerezza e anche la difficoltà di vivere una storia d’amore nella malattia”. Così si passa dal seguire le loro azioni di visibilità – proteste spettacolari, irruzioni nelle scuole, organizzazione di Gay Pride – a momenti più intimi in cui si segue da vicino la storia d’amore tra il neofita del gruppo Nathan e il militante radicale Sean, il progredire impietoso della malattia di uno dei due fino all’epilogo della morte, in cui, senza pietismi viene affrontato anche il tema dell’eutanasia. “Ci sono state molte eutanasie clandestine durante l’era dell’Aids, forse ora è arrivato il momento di parlarne”.
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“Ho amato 120 battiti al minuto dall'inizio sino alla fine, non mi sarebbe potuto piacere di più”, ammette il presidente di giuria lasciando intuire la sua preferenza. Per poi aggiungere tra le lacrime, in ricordo degli attivisti che negli Anni ’90 lottarono per rompere l'indifferenza sul tema dell'Aids: “Campillo ha raccontato storie di eroi veri che hanno salvato molte vite"