Agnès Jaoui: C’era una volta la vita


C’erano una volta principesse in pericolo e in eterna attesa del Principe Azzurro, matrigne terrorizzate dall’idea di invecchiare, lupi cattivi, re e regine, orchi mangiabambini, mele stregate e oscure superstizioni. C’erano una volta e ci sono ancora, almeno secondo Agnès Jaoui, di ritorno al cinema con il suo compagno di vita e d’arte Jean-Pierre Bacri – con cui co-sceneggia .- in Quando meno te lo aspetti, in uscita con Lucky Red il 6 giugno in 70 copie, commedia agrodolce ispirata più o meno direttamente al mondo delle fiabe, ma ambientata in contesto moderno e realistico. La regista, che ha anche un ruolo nel film, così come suo marito, ha presentato la pellicola al museo nazionale delle arti del XXI secolo Maxxi di Roma.

Quanto è importante nella vita credere nelle favole?
No so nemmeno io quanto effettivamente ci crediamo, ma abbiamo scritto questo film perché mi sono resa conto che, anche se sono cresciuta in una famiglia di gente moderna e con idee femministe, e io stessa mi definisca femminista, alla fin fine pure io ho aspettato per tanti anni il Principe Azzurro. E non un fidanzato normale, intendo proprio un romantico cavaliere che ti prende e ti porta via al galoppo. E mi chiedo come sia possibile che ancor oggi ci si creda, con tutto che è cambiato il ruolo delle donne e la società. Teniamo presente che sono storie antichissime, scritte quasi quattrocento anni fa, per lo più da uomini. E poi vengono raccontate e riraccontate, cambiando qualcosa ogni volta. Ecco, io volevo reinventarle adattandole alla società moderna.

E’ stato un lavoro facile per gli attori?
Benjamin Biolay ha individuato immediatamente il suo personaggio. Letta la sceneggiatura mi ha scritto un SMS in cui esprimeva tutto il suo entusiasmo per il ruolo di ‘lupo cattivo’ che gli avevo affidato. Ma non tutti i personaggi hanno una corrispondenza così diretta, volevamo mixare personaggi favolistici con altri appartenenti a una vicenda reale. La cosa divertente è che dopo aver visto il film giornalisti e spettatori hanno cominciato ad attribuire i ruoli loro stessi. Il personaggio di Jean – Pierre ad esempio non va molto d’accordo coi bambini, per cui lo hanno associato a un orco, ma è stato del tutto casuale.

Nel film ci sono anche dei bambini? E’ stato difficile gestirli?
Lo è sempre. Non è facile fargli fare ciò che ti serve, ma ti ripagano in vitalità. Tra loro c’erano anche i miei figli e a tratti li avrei strozzati.

Rispetto a suo opere precedenti come Il gusto degli altri o Così fan tutti, questa si può considerare una storia con molti elementi di novità…
Sono vent’anni che lavoriamo insieme, temevamo di annoiarci e di annoiare. Il metodo è lo stesso di sempre. Iniziamo a cercare argomenti che ci piacciono e ci interessano, di solito ci fermiamo quando abbiamo una bella storia, ma stavolta siamo andati oltre anche formalmente. Avevo a disposizione un direttore della fotografia meno dogmatico del solito e poi mi sono liberata della mia proverbiale paura della ‘tecnica’. Ho osato e sperimentato. Di solito, dato che nasco come sceneggiatrice, non amo molto la presenza incessante del regista nei film, preferisco farmi trasportare dalla storia, e anch’io tendo a sparire. Ma stavolta ho giocato con gli effetti, con gli sguardi, col ralenti, con la paura, il montaggio, la musica, il missaggio, insomma ho sfruttato appieno tutto ciò che la tecnica aveva da offrirmi.

Com’è andato il film in Francia e qual è stata la reazione della critica?
Ha fatto un milione di spettatori ma per la critica non so proprio cosa dirle, non leggo più recensioni da tempo, ormai.

Polanski a Cannes ha espresso il suo rammarico per il fatto che le donne si stiano sempre più mascolinizzando…
Oh, a Polanski piacciono femminili, ma anche parecchio giovani. Non mi soffermerei oltre su questo…

Ma in definitiva, perché le donne continuano a credere alle favole?
Sono vittime di stereotipi, ma anche colpevoli. Sono le regole e i condizionamenti culturali che influenzano le nostre vite. Quante volte sentiamo dire: ‘sono fatto così, è la mia natura, non posso cambiare’, e così il nostro margine di iniziativa per poter cambiare le cose si restringe sempre più. Credo che l’origine di ciò stia anche nella società, nell’educazione che ci danno in famiglia. Quando si vive si pensa che quello a cui si è abituati sia l’unico modello possibile. Per questo le favole hanno avuto e continuano ad avere così tanta influenza, così come i libri e i film che possono aiutare un paese e le persone a conoscere ciò che prima non conoscevano. Mi dilungo un po’: ma invito voi italiani a spingere i propri governanti a non considerare l’industria culturale come tutte le altre, a scorporarla dagli scambi commerciali. Il cinema americano è diventato grande proprio perché Roosvelt aveva intuito il suo valore e ci aveva investito.

Tra lei e suo marito, chi è quello che scrive le scene buffe? Ci sono anche aspetti della vostra vita personale nel film?
Ah, quello buffo è Jean-Pierre, non c’è dubbio. E naturalmente sì, c’è qualcosa di nostro. Ad esempio anche a lui qualcuno ha predetto la data della sua morte, come al suo personaggio nel film. Non ve la dico, ma è nel 2015. E poi la mia difficoltà con ciò che è tecnologico: i computer, le automobili…

Parla anche di Dio e di religione, anche se non è credente…

Mi hanno fatto notare che tratto la religione come una qualsiasi credenza, ma per me, è ciò che è. Detto questo non volevo certo ferire chi crede. So bene che nella vita ci sono momenti in cui serve un rifugio, e c’è chi lo trova appunto nella fede. Le scene che riguardano questo tema nel film le ho trattate con rispetto, accompagnandole con musica classica, sono venute talmente bene che fanno venire voglia di pregare anche a me.

E il finale?
Non è esattamente un happy ending, anche se il mio personaggio impara a guidare. Il film riflette le nostre paure come le fiabe rappresentavano le paure di 400 anni fa. Pollicino era una metafora dell’abbandono. Oggi abbiamo ancora la paura di invecchiare, come la matrigna di Biancaneve. Non volevo appesantire con un finale tragico, nella vita le cose non sempre vanno come vorremmo, qualcuno è più felice, qualcuno meno, si va a fasi. Anche se a volte avvengono anche dei piccoli miracoli.

autore
31 Maggio 2013

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