Adriano Giannini


Come va la tua costola incrinata? chiediamo ad Adriano Giannini. Da pochi giorni è a Malta con Madonna per il remake di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto. Interpreta la parte che fu di suo padre in una produzione americana dal titolo Swept Away. A firmarla Guy Ritchie, padre del figlio Rocco avuto dalla star nel 2000.
Ma non è stata certo lei a metterlo ko. Si trattava di qualche mossa di lotta, cose che succedono nelle troupe, almeno così si racconta. «E’ vero, qualcosa del genere. Per fortuna si tratta solo di una infiammazione, non c’è niente di rotto come pensavo. Ho fatto tanto sport da piccolo, tanta ginnastica attrezzistica».
Ma non mette solo in mostra i muscoli il trentenne Giannini in Alla rivoluzione sulla due cavalli di Maurizio Sciarra, è una presenza interessante nel nostro cinema, uno sguardo ironico, più ombroso di quello del padre. Nel film è Marco, quello dei tre amici che, si dice, ha lasciato il movimento studentesco di Bologna per Parigi perché non c’erano più ragazze da rimorchiare.

Sei stato a lungo operatore, prima di diventare attore: ti è servito a sentirti a tuo agio in qualunque tipo di set?
Ci pensavo proprio in questi giorni: mi ha aiutato, il cinema è sempre uguale, i problemi sono gli stessi ovunque.

Questo è il tuo secondo film?
Dopo quello di Sciarra ne ho fatto un altro, State zitti per favore, diretto da mia madre, Livia Giampalmo, con Giovanna Mezzogiorno. Sarà pronto forse a dicembre.

Madonna è un mostro sacro dello spettacolo, non trovi?
Un po’. Però bisogna dire che c’è una troupe molto serena, molto simpatica. E’ una troupe composta all’ottanta per cento da inglesi. Gli inglesi lavorano molto bene, e allo stesso tempo sono anche dei gran casinari, sul set ridono, scherzano e poi in un secondo diventano molto seri. Cosa che non sempre c’è sui set italiani, dove si scherza un po’ di meno. Sono troupe molto più giovani le loro, anche se nel cinema italiano le cose stanno cambiando. Il nostro direttore della fotografia ha 35 anni, l’altro giorno si sono tagliati tutti i capelli da mohicani. Questo clima dipende anche dal fatto che il regista è giovane, ha 33 anni, anche lui è inglese.

Madonna Non si avverte un clima di guerra?
Si fa finta di niente. La televisione c’è pure qui, si sa tutto. Siamo scortati dall’esercito, andiamo in mezzo al mare con la scorta, perché c’è lei. Madonna è comunque un simbolo, anche se credo che nessuno verrà a farle niente.

Tornando al film di Sciarra, che rapporto hai avuto con la politica?
Mia madre era una donna di sinistra, quindi quando ero piccolo respiravo questa atmosfera. Ma come figlio degli anni ’80 sono piuttosto disimpegnato, sono stati anni abbastanza piatti. A Roma, dove sono cresciuto, l’ambiente dello Scientifico era un contesto abbastanza leggero.

Quindi hai affrontato il personaggio di Marco con ancor più leggerezza…
Non ho pensato a un film politico, ma a una commedia che si svolgeva in quegli anni: la rivoluzione è un sottofondo all’interno del quale c’è una storia di ragazzi, un viaggio. Andava bene per il mio personaggio: uno che si faceva trasportare da quello che succedeva. Anche allora una parte dei giovani cavalcava l’onda rivoluzionaria per gioco, per incontrare altre persone.

E’ inevitabile chiederti che influenza hanno avuto su di te tua madre, regista sensibile, e tuo padre che è un mito e un vero gentiluomo.
E’ facile quando si diventa famosi perdere il senso della misura, invece credo che lui l’abbia sempre mantenuto. Ho lavorato con lui come operatore in vari film, vedevo come si comportava sul set. E’ un grande professionista, però poi è semplice e attento all’altro.
Mia madre entra tanto in questo mio percorso perché mi aiutato più di tutti a voler fare l’attore, a crederci: è stato un passaggio complicato per me che l’ho fatto a 28 anni e non a 20.

Si dice che hai evitato il più possibile di fare l’attore.
E’ stata una lenta decisione, c’è di mezzo la scuola di teatro. Quando lavoravo sul set ero incuriosito dal lavoro dell’attore, un mondo misterioso. Poi mio padre mi ha messo giustamente in guardia: è la stessa cosa che farei io se avessi un figlio. E’ un lavoro molto bello, divertente, di grande libertà ma è facile perdere di vista le cose e poi bisogna avere fortuna, si è molto esposti.

E’ difficile oggi interpretare un personaggio che ha lasciato una traccia evidente nella storia del cinema e oltretutto rifare tuo padre?
Sì, però il regista è un tipo brillante, ha delle idee particolari. Anche se Swept away è molto simile all’originale.

Quindi molto politico?
No, quello un po’ si è perso, non c’è la politica, perché non c’è tutto il comunismo che c’era negli anni ’70. Lei è un’americana che viene in Italia e io faccio un italiano. Però c’è sempre la lotta di classe.

autore
11 Ottobre 2001

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