Gli anni ’60 in Europa: rivolta fantasia e utopia è la retrospettiva organizzata quest’anno per la Berlinale dalla Cineteca tedesca. Dal 6 febbraio si vedranno sessanta film che raccontano, dall’Est all’Ovest, il periodo della guerra fredda e i boom economici, assieme alla nascita della contestazione. Per l’Italia, accanto ad Antonioni (L’eclisse), i Taviani (I sovversivi), Olmi (I fidanzati), Bertolucci (Prima della rivoluzione) e Fellini (Otto e mezzo), saranno presentati anche lavori poco conosciuti, come lo spaghetti western Il grande silenzio di Corbucci, Fuoco! di Gian Vittorio Baldi, o il bellissimo Banditi ad Orgosolo di Vittorio De Seta.
Di questa retrospettiva abbiamo parlato con Adriano Aprà, direttore della Cineteca italiana, uno dei protagonisti più lucidi ed interessanti del cinema e della cultura di quegli anni, che il 13 febbraio terrà a Berlino il seminario “Gli anni ’60 in Italia. Prima della rivoluzione”.
La Cineteca è stata coinvolta nella selezione dei film della retrospettiva?
La retrospettiva è organizzata dalla Cineteca di Berlino. Non so nulla delle scelte, la Cineteca nazionale fornirà solo cinque – forse sette – pellicole. Sono entrato in contatto con gli organizzatori che mi hanno chiesto una lista che non comprendesse i soliti film. Ho preparato un’ampia selezione ma sono un po’ deluso dalle scelte che sono state fatte perché io puntavo di più su film dimenticati. Sicuramente ho insistito per Banditi ad Orgosolo o per Fuoco! e I fidanzati. Trovo, invece, che gli altri film siano fin troppo noti. Non c’entro niente, ad esempio, con la scelta dello spaghetti western di Corbucci.
Nei festival si nota una crescente attenzione verso il cinema degli anni ’60. È solo un’operazione sulla memoria o questi film mantengono ancora una forza attuale?
Conoscere il passato è fondamentale perché è il modo per capire gli errori e verificare gli stimoli. Io ero ragazzo in quegli anni, e forse è vero che provo un po’ di nostalgia. Ma quel cinema è un cinema ancora fresco. Basta vedere cosa realizzano oggi registi come Godard o Rohmer. Anche in Italia ci sono cineasti nati in quel periodo che girano ancora film interessanti. Penso a Baldi, Bellocchio, Agosti o anche Andreassi che è troppo poco conosciuto. Certo, gli anni ’60 sono stati un momento magico. C’era creatività, e questa creatività era estesa a livello mondiale. C’era una grande trasformazione in atto, oggi è molto diverso.
Oggi è diverso, ma lei parla anche di una rinascita del cinema dagli anni ’90 in poi…
Vorrei essere giovane oggi, perché penso che anche questi siano anni di grandi trasformazioni. Quando dico che il cinema di questi anni è un cinema vitale, parlo di una vitalità creativa che però non si traduce in una vitalità industriale. In Italia i problemi tra creatività e industria sono sempre stati enormi, ma negli anni ’90 questa forbice si è ancora di più allargata. I talenti giovani fanno altre cose rispetto a quello che l’industria chiede. I problemi sono enormi, sento ancora oggi parlare di grandi effetti speciali e di televisione, ma per me questa non è una strada giusta. La prossima strada è sicuramente il digitale, ma il digitale vuol dire altre cose, e soprattutto vuol dire abbattimento dei costi di produzione (trovo immorale la cifra che viene spesa per produrre i film). Il digitale non deve essere usato per scimmiottare il cinema americano, ma in Italia si sostengono principalmente produzioni di questo genere. A me piacciono film che sono considerati minori e che normalmente vanno malissimo al botteghino, ma la rinascita del cinema italiano viene dalle periferie, e penso a registi come Paolo Benvenuti, ai film di Gianikian e Ricci Lucchi. Film sconosciuti, ma molto amati quando vengono proiettati all’estero. È assurdo che in Italia non riescano a farsi vedere.
Nelle retrospettive i curatori hanno sempre una enorme quantità di film tra i quali scegliere. Tra vent’anni, si potrà scegliere con facilità anche per i film di questi anni?
Non credo. E questo dipende anche dai problemi che si trovano a vivere oggi gli autori, al loro isolamento, al contesto che non li stimola. La Francia viene accusata di essere sciovinista, ma l’autodifesa del suo cinema ha permesso la nascita di autori di qualità. Sono poche le cinematografie che ancora resistono: l’iraniana, la portoghese, la taiwanese, quella del Belgio di lingua francese. Altrove la situazione contemporanea è drammatica. Il rapporto tra il numero di film prodotti e la loro qualità è disastroso. E tutto presto cambierà. Il digitale, le nuove tecnologie che permetteranno l’interattività, sono destinate a rivoluzionare tutto quello che oggi conosciamo.
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