Il noto storico e critico del cinema Roberto Campari ci ha lasciato nella sua natia Parma.
Nato nel 1942, un anno dopo il suo carissimo amico Bernardo Bertolucci, Campari aveva iniziato a seguire le Mostre del Cinema di Venezia alla metà degli anni ’60 sia come cineclubista militante che come recensore per Il giornale di Parma.
Grande appassionato di cinema americano, aveva dedicato il primo dei suoi numerosi libri a Il western. Problemi di tipologia narrativa (1970). Dal 1971 aveva iniziato a tenere regolari lezioni di cinema all’Università di Parma nella sede distaccata di Cremona. Nel 1974, quando il docente Mario Verdone si era trasferito da Parma a Roma, aveva assunto lui la cattedra di Tecnica e didattica del linguaggio cinematografico.
Assieme ad Arturo Carlo Quintavalle era stato tra i fondatori del Centro Studi e Archivio della Comunicazione-CSAC, un archivio multimediale pionieristico di livello internazionale.
In una commovente intervista imperniata sulla sua lunga carriera Roberto Campari racconta tra l’altro: “La mia scelta di studioso corrisponde anche all’ambito problematico: in pratica, mi rifacevo al vecchio rapporto Lumière-Méliès: cinema come realtà, riproduzione dei problemi, vs. cinema come sogno/finzione. Grosso modo, io, con gli autori che trattavo, seguivo questa traccia. Per John Ford, ad esempio, c’era il discorso del West inventato, sognato, ma allo stesso tempo c’era la problematica storica legata a lui come individuo e come cineasta. I musical di Minnelli erano il sogno all’ennesima potenza. Poi preparavo corsi su Olmi, Visconti, De Sica, e allora trattavo problematiche completamente diverse. Grosso modo, sono sempre stati questi i due poli sui quali mi muovevo, perché volevo far capire ai ragazzi quali erano i mezzi, i modi stilistici con i quali l’autore catturava lo spettatore. Nell’analisi del linguaggio, si affronta anche questo discorso: quale effetto vuole ottenere il regista; quali mezzi impiega per ottenere un certo effetto. All’esame chiedevo argomenti abbastanza vasti, che permettevano allo studente di spaziare. Sulle datazioni c’era da mettersi le mani nei capelli: una volta mi hanno detto che il cinema era stato inventato nel ‘700! Io ero un docente molto disponibile, ‘buono’, attento soprattutto alla sensibilità degli studenti. Forse la storia del cinema veniva presa un po’ sottogamba, e gli studenti tentavano l’esame. A me piaceva fare lezione al triennio, perché per me era come agire sulla ‘verginità assoluta’ degli studenti; erano persone che non sapevano nulla, e a me piaceva fargli scoprire certe cose: mi provocava un certo entusiasmo. Si vedevano i film, li commentavamo insieme. Io ho sempre fatto vedere film classici, quasi sempre sonori (anche se nel triennio facevo vedere almeno un film di Ėjzenštejn, uno di Griffith)”.
https://cinema.dh.unica.it/wp-content/uploads/sites/5/2019/09/Intervista-a-Roberto-Campari.pdf
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