“Scrivo queste parole senza crederci. Eppure è così. Il mio uomo non c’è più”: con queste parole, Laeticia Hallyday ha annunciato con un comunicato poco dopo le 3 del mattino la scomparsa a 74 anni del musicista più popolare della storia della canzone francese, “Johnny”. Poco prima, Laeticia aveva telefonato ad Emmanuel Macron, ancora sveglio all’Eliseo. L’intero paese, senza steccati politici, sociali o differenze di età, si è svegliato piangendo l’uomo che ha venduto 110 milioni di dischi. Una decina di blindati della polizia sostano attorno alla villa di Marnes-la-Coquette, nella banlieue di Parigi, dove Johnny era rientrato un mese fa dopo essere stato ricoverato in clinica per una crisi respiratoria. “La malattia è nella tua mente”, aveva detto Johnny un anno fa parlando del cancro ai polmoni. L’Eliseo pensa ad un “omaggio nazionale” per l’addio al rocker francese.
Johnny Hallyday si chiamava in realtà Jean-Philippe Smet, ed era nato il 15 giugno 1943 a Parigi da padre belga e madre francese, che si lasciarono dopo la sua nascita. Crebbe con una zia che aveva due figlie, una delle quali sposò Lee Halliday, al quale il ragazzo si ispirò per lanciarsi nel mondo dello spettacolo. A metà anni ’50, a Parigi, scopre il cinema e il rock, ma soprattutto ascolta e segue le orme di Elvis Presley. Appare in tv nel 1959, i produttori lo scoprono e nel 1960 esce il suo primo disco, subito seguito da un altro con il suo primo hit, “Souvenirs, souvenirs”. Nel 1965 sposa Sylvie Vartan, anche lei cantante, e nasce David. E’ l’epoca “ye-ye”, la coppia diventa il simbolo francese del pop, la bellissima Sylvie spopola cantando anche in italiano. Johnny intanto pubblica un suo album storico, “Generation perdue”. La canzone che questa mattina, ricordandolo, tutti canticchiano, risale a quegli anni, al 1969: “Que je t’aime”. Tra i suoi legami anche quello con l’attrice Nathalie Baye, dal quale nasce nel 1983 la figlia Laura Smet, poi il matrimonio nel 1990 con Adeline Blondieau quindi l’approdo definitivo, nel 1996, con Laeticia, rimasta al suo fianco fino alla fine.
Dà tanto anche al cinema. Dopo alcune apparizioni sul grande schermo da ragazzo tra la fine degli anni ’50 e la prima metà dei ’60, Johnny debutta con Quella carogna di Frank Mitraglia di cui cura le musiche e in cui mostra le sue doti comiche. Sarà il primo di una lunghissima lista di film negli anni ’70, tra cui L’avventura è l’avventura di Claude Lelouch, autore con cui avrà un fertile sodalizio, del 1971. Nel 1985, desideroso di provare il suo talento oltre l’episodico, partecipa al film di Jean Luc Godard Il detective, seguito poi da quello di Costa-Gavras Consiglio di famiglia e dalla commedia La gamine con Maïwenn. Alla fine degli anni ’90 mette a segna un terzetto di titoli: Pourquoi pas moi? in cui è un torero in pensione, Love me in cui gioca con la sua immagine di rocker disilluso e infine il bellissimo L’uomo del treno di Patrice Leconte, accanto a Jean Rochefort. Dopo alcune apparizioni in commedia con Wanted insieme a Harvey Keitel e Gérard Depardieu e La pantera rosa 2, torna protagonista nel film di Johnnie To Vendicami, presentato al festival di Cannes, in cui interpreta un cuoco francese che in realtà è un ex killer venuto a Hong Kong per vendicare la figlia. Negli ultimi anni, nonostante la malattia, ha continuato a fare film: due con Claude Lelouche Parliamo delle mie donne e Chacun sa vie oltre a Rock ‘n’ roll con Guillaume Canet e Marion Cotillard dove interpretava se stesso con grande autoironia.
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