Abdellatif Kechiche: “La politica dello sguardo”


VENEZIA – È il film shock di questa Mostra. Un film disturbante e a tratti intollerabile: per la durata fluviale (2 ore e 40′), per le immagini crude, per la violenza psicologica della storia che racconta. Una storia rigorosamente vera, di cui l’Europa dovrebbe solo vergognarsi: la sudafricana Sarah Baartman all’inizio dell’Ottocento venne portata in Europa dal suo padrone Caezar, esposta come un esotico fenomeno da baraccone, una specie di donna scimmia, quindi fu al centro di un processo intentato all’uomo per sfruttamento e schiavismo dalle autorità inglesi. Poi venne ceduta a un altro traffichino, stavolta francese, che la portò a Parigi, nei salotti libertini, trasformandola in un giocattolo sessuale. Infine, in situazioni sempre più degradate: prostituta in un bordello, contagiata dalla sifilide, e al contempo studiata dagli scienziati per le sue caratteristiche fisiche simili, secondo loro, a quelle dei primati e per gli organi sessuali e il bacino particolarmente sviluppati. Ma lo scempio peggiore avvenne dopo la sua morte, quando il corpo della Venere ottentotta venne trasformato in un calco di gesso e quindi dissezionato per finire tra i cimeli del Musée de l’Homme di Parigi, dove rimase fino al 1976. Sarà Nelson Mandela a ottenere dal presidente Mitterrand – come si vede nelle immagini di repertorio alla fine del film – la restituzione delle sue spoglie che vennero seppellite in patria solo nel 2002. Venus Noire, con la non professionista Yahima Torrès nel ruolo della protagonista, oltre ad Andre Jacobs, Olivier Gourmet, Elina Lowensohn, Michel Gionti, riporta a Venezia in concorso Abdellatif Kechiche, il regista francese che conquistò due premi alla Mostra 2007 con Cous Cous. Anche stavolta potrebbe aspirare a un posto importante nel palmarès ufficiale e magari anche al nuovo premio per le Pari Opportunità. Mentre Lucky Red distribuirà coraggiosamente questa pellicola nelle sale.

 

Come ha incontrato la figura di Sarah Baartman, la Venere nera?

L’ho incrociata più volte a partire dal 2002, quando il Sudafrica ne chiese la restituzione alla Francia. Avevo anche letto un testo di Diderot su di lei. Mi ha intrigato da subito.

 

E’ evidente che il suo caso moltiplica la discriminazione perché al razzismo si somma il sessismo.

Ci sono entrambi i temi, purtroppo ancora presenti nella società contemporanea. La dominazione degli uomini sulle donne e sui popoli è ancora viva. La Francia di oggi esprime attraverso il suo presidente Sarkozy un disprezzo per il popolo Rom che arriva fino all’espulsione.

 

In più il corpo delle donne, al di là della razza, è oggetto di uno scempio mediatico che ci riguarda tutti. Per non parlare dei casi di violenza pubblica, come la minacciata lapidazione di Sakineh in Iran.

Ci sono tante storie di barbarie e violenza che coinvolgono anche maschi. Ma Sarah mi ha provocato da subito un sentimento di affetto, di tenerezza: vedere i suoi ritratti e il calco del suo corpo mi ha permesso quasi di comunicare con la sua immagine anche perché sono un cineasta e mi nutro di immagini. Questa donna è stata esibita per quasi 200 anni in pubblico e mi chiedo come questo sia potuto accadere, specialmente considerando che quando era viva aveva rifiutato di far vedere agli scienziati i suoi organi genitali, che invece sono poi stati addirittura mutilati e conservati in vitro.

 

Che rapporto ha “Venus Noire” con due film come “Salò” di Pasolini ed “Elephant Man” di Lynch?

Per Pasolini ho un’ammirazione senza limiti, mi sento un suo erede. Invece non vedo possibili legami con Elephant Man se non che parla dell’esibizione dei corpi. E’ un film che, pur riconoscendone la grandezza, mi disturba per la sua condiscendenza verso le classi popolari.

 

“Venus Noire” è decisamente un film politico.

Certamente, anche perché dai politici attuali abbiamo sentito purtroppo di nuovo parlare di non uguaglianza delle razze. Si usano discorsi pseudoscientifici per sostenere il ritorno del fascismo in Europa. Il discorso di Cuvier, lo scienziato che studiò il corpo di Sarah paragonandolo a quello dei primati e che divulgò nel 1817 i risultati delle sue ricerhe, ha avuto conseguenze catastrofiche in termini di colonialismo e schiavitù delle razze.

 

Come ha fatto a proteggere la giovane attrice, Yahima Torrès, dalla violenza della messinscena?

Tutto è stato molto naturale, gli altri attori l’hanno protetta, hanno lavorato con uno spirito di gruppo, come sempre nei miei film, esprimendo anche dubbi e domande.

 

Non c’era il rischio di replicare la morbosità dello sguardo, che nella vicenda di Sarah porta addirittura alla pornografia e alla prostituzione?

Uno dei temi del film è proprio lo sguardo e la differenza tra lo sguardo individuale e quello collettivo. Su Sarah si posano tanti sguardi diversi: affascinati, teneri, spaventati, curiosi… Non ho la chiave di tutto questo, ma ho cercato di lasciare lo spettatore libero, di non manipolarlo e dirigerlo.

 

E’ possibile modificare lo sguardo su di sé degli altri, come accade a Sarah quando, nel salotto dei libertini, le sue lacrime impongono il rispetto negli spettatori.

Come poter cambiare lo sguardo è il tema di tutti i miei film. Siamo continuamente sollecitati dai giornali, dalla tv e dai politici a dirigere lo sguardo in un certo modo, per questo è necessario interrogarsi a fondo sul proprio sguardo. E’ una battaglia continua e non ho una risposta.  

 

autore
08 Settembre 2010

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