Tempo di corti. A pochi giorni dalla chiusura di Imola, ieri è arrivata la notizia che L’ultima questione, il pluripremiato cortometraggio di Corrado Franco (ha già vinto il Globo d’Oro, il Nastro d’Argento 2001 e il Festival di San Pietroburgo) con Alessandro Haber e Giorgio Lanza, verrà presentato all’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles in vista di una possibile candidatura all’Oscar 2002.
E oggi, a Roma, la consegna dei Nastri d’argento del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani ai vincitori del 2000 e 2001 è diventato ottimo pretesto per organizzare da parte di Studio Universal e SNGCI un incontro informale ma non troppo sul settore. I vincitori, innanzi tutto: Mehari di Gianfranco De Rosa, Alice dalle 5 alle 6 di Gionata Zarantonello, Carta d’identità di Francesco Capua, Ciccio Colonna di Siusy Blady, L’ultima questione appunto, e Quid pro quo di Jerome Bellavista Caltagirone.
La visione dei film è stata un’ottima occasione per tornare a parlare di una delle questioni irrisolte sulle sorti del cortometraggio italiano: a cosa vale organizzare tavole rotonde, convegni, seminari o appuntamenti come quello di oggi alla presenza di distributori, produttori e rappresentanti istituzionali (Rossana Rummo), se l’impressione, vedendo i film, è che nei corti italiani i primi a non crederci sono proprio coloro che dovrebbero sostenerli?
Prendiamo i meccanismi di finanziamento: Rummo, e con lei Filiberto Bandini (ANICA-UNICS), hanno sottolineato che il Fondo di Garanzia per i cortometraggi (due miliardi) è stato erogato negli ultimi tre anni solo al 30% (circa 45 opere) dei corti presentati. La burocrazia per accedervi è tanto complicata che ormai i produttori contano piuttosto sul premio di qualità, distribuito generalmente con un paio d’anni di ritardo e, quel che è peggio, basato ancora sui passaggi in sala. Inutile, ci verrebbe da dire, visto che il corto italiano ormai per definizione in sala non ci va quasi mai.
Prendiamo poi in considerazione il disagio soffuso degli autori. La maggior parte dei cortisti, ci pare, soffre di una eccessiva deferenza nei confronti di una “macchina cinema” che li costringe a limare e modificare in fase di ripresa quanto era previsto in sede di sceneggiatura. Così, se Quid pro quo, forse il migliore dei premiati, riesce a mantenere alte le premesse della scrittura con una regia attenta, solo un po’ annacquata dall’interpretazione dei due protagonisti alle prese con una banda di rapitori sardi, Strani accordi di Stefano Veneruso, prodotto da Studio Universal e proiettato come fuori programma, sembra voler contare solo sul nome di Maria Grazia Cucinotta e dimenticarsi che dovrebbe anche farla recitare.
Per il futuro si è parlato anche della soluzione delle pay-tv, che comprano e producono corti più delle televisioni “free” e li fanno vedere più delle sale cinematografiche. Un autore, Gionata Zarantonello, ha messo tutti in guardia: “I corti italiani sono brutti. Facciamo e facciamo vedere solo quelli che valgono, altrimenti il pubblico, unica vera risorsa, ne avrà sempre e solo una visione negativa”.
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