Artista del riuso della pellicola, Bill Morrison è l’ospite d’onore del RIDF, Rome Independent Documentary Festival, ed è anche presidente della giuria della manifestazione, da Christian Carmosino ed Emma Rossi Landi, alla sua prima edizione. Considerato da ‘Variety’ “uno dei più audaci filmmaker americani” e definito “il poeta laureato dei film perduti” dal ‘New York Times’, il 57enne Morrison, ha tenuto una masterclass al Centro Sperimentale di Cinematografia. Era accompagnato dalla cineasta Alina Marazzi, che ha guidato il pubblico prevalentemente di studenti e studentesse (anche del corso di restauro della pellicola) alla scoperta dell’incredibile lavoro di riappropriazione del found footage compito da questo sensibile e originale artista.
I suoi film uniscono rari materiali d’archivio – che lui stesso ritrova e cataloga senza restaurarli, ma anzi usando creativamente i danni subìti dalla pellicola al nitrato – e musica contemporanea: ha collaborato con alcuni dei più influenti compositori contemporanei, tra i quali in particolare Michael Gordon e poi Philip Glass, Gavin Bryars, Steve Reich, Bill Frisell, Jóhann Jóhannsson, Kronos Quartet, Erik Friedlander. La sua formazione pittorica emerge da ogni singola scelta così come l’amore per ciò che il tempo ha offeso e danneggiato, ma non distrutto, anzi dà forma alla sua poetica della pellicola che ricorda, per molti versi, quella di due artisti come Giankian e Ricci Lucchi.
Nel 2013, il suo lungometraggio Decasia del 2002, realizzato appunto in collaborazione con Michael Gordon, è stato scelto dalla Library of Congress come film degno di essere preservato per il suo alto valore storico ed estetico. Nel 2014 il MoMA gli ha dedicato una retrospettiva.
Per la sua conferenza italiana, Morrison ha scelto il titolo “Consider the source”, proprio per sottolineare la centralità dell’archivio, ovvero delle fonti. Marta Donzelli, presidente del Centro Sperimentale, ha sottolineato l’importanza di questo evento, realizzato dalla vicedirettrice della scuola Maria Bonsanti, in collaborazione con RIDF, AAMOD e il neonato UnArchive Found Footage Fest, diretto da Alina Marazzi e Marco Bertozzi, che si svolgerà a Roma nella primavera del 2023.
“Dopo la pandemia – ha spiegato Donzelli – stiamo cercando di sviluppare rapporti con tutti i festival, che sono luoghi di incontro privilegiati”. E ha anticipato la nascita di una piattaforma didattica dove confluiranno materiali video come l’incontro di stamattina.
Tocca ad Alina Marazzi introdurre l’incontro: “Bill è il filmmaker simbolo del metodo e dell’estetica del riuso. Ha iniziato a lavorare su frammenti di vecchie pellicole, in epoca predigitale, sul banco ottico, erano gli anni ’90. Originario di Chicago, ha studiato arte e pittura. Dawson City, visto sabato scorso al RIDF, è un lavoro, come tutti i suoi, legato alla pellicola come materiale, anche infiammabile”.
Vero e proprio archeologo del cinema, Morrison ha parlato a lungo, accompagnando alle parole le immagini dei suoi film e spiegando il suo metodo. “Il documentario è un modo per verificare i documenti, riesaminare un film o anche una singola scena e creare un nuovo lavoro da qualcosa di esistente. Alla Library of Congress, quando non sanno dove mettere una pizza di pellicola, la collocano su uno scaffale col mio nome scritto su un post-it”.
Morrison ha mostrato come si possa partire non solo da un film ma anche da una singola scena, che viene analizzata e decodificata, per esempio con l’uso dello split screen, sempre alla ricerca di un effetto ipnotico e di un ritmo insito nelle immagini ma evidenziato dalle musiche attuali. “E’ importante creare una relazione tra l’osservatore e il materiale. Il lavoro sui fotogrammi e sulla musica rende contemporanei gli spezzoni del cinema muto. Anche il deterioramento fa parte di questo processo. Per questo cerco di non interferire troppo con i materiali, tocco ogni fotogramma, lo soppeso prima di digitalizzarlo e preferisco non avere un montatore ma lavorare da solo”.
Il suo film più conosciuto, Decasia, esprime proprio il suo amore per il decadimento della pellicola. Lui lo definisce “una sinfonia della decadenza”. Attualmente invece sta affrontando un tema contemporaneo, la violenza della polizia americana, usando sia le immagini della body camera di un agente di Chicago sia i video di sorveglianza. “Sono pochi minuti, dalla cattura all’omicidio, che vengono mostrati in molte diverse versioni e da diverse prospettive. L’evento in sé dura appena un pugno di secondi, ma viene dilatato e questo esprime anche la pericolosità della situazione. Il poliziotto ritiene di essere nel giusto, di aver diritto di sparare perché il fermato era armato, anche se non c’era alcun motivo per arrestarlo e non stava estraendo la sua arma. Ma chiaramente dal punto di vista della comunità, quello perpetrato è un abuso”.
Il suo lungometraggio più recente, The Village Detective: a Song Cycle (2021), è stato presentato in anteprima al Telluride Film Festival e distribuito da Kino Lorber nelle sale e in home video in Nord America.
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