50 anni di Biennale Arte (in bianco e nero)

Presentato al MAXXI di Roma Venezia Pop. L'arte in bianco e nero, il documentario di Antonello Sarno prodotto da Luce Cinecittà e Agnus Dei


C’è anche George Clooney tra i personaggi che Antonello Sarno ha chiamato a raccontare la Biennale Arte. “Non sono un esperto – dice l’attore-regista – ma mi è capitato di comprare quadri a Roma o Parigi che sono appesi alle pareti di casa mia, anche se il mio architetto mi consigliava di toglierli e diceva che erano brutti. Di Venezia posso dire che mi sorprende ogni volta, è un’opera d’arte in se stessa”. L’intervista fa parte di Venezia Pop. L’arte in bianco e nero, il documentario prodotto da Istituto Luce Cinecittà e dall’Agnus Dei di Tiziana Rocca, realizzato con materiali del Luce nel montaggio di Angelo Musciagna. “Io sono un vero topo d’archivio – ha raccontato Sarno – ormai ho realizzato tanti film di questo tipo, ma tutti sul cinema, però la Biennale Arte è la madre di tutte le Biennali e anche della Mostra e quindi la sfida mi ha appassionato”. 

Occasione dell’incontro con il giornalista e autore è stata la serata organizzata al MAXXI di Roma per proiettare il documentario, già proposto in anteprima mondiale a Palazzo Grassi a Venezia nello scorso settembre. Una serata ad alto tasso “artistico” con ospiti come Achille Bonito Oliva, Luigi Ontani, Carlo Ripa Di Meana e Italo Moscati, accanto ai produttori, Roberto Cicutto e Tiziana Rocca. Tutti chiaramente innamorati di questa istituzione che ha attraversato le epoche, raccontato le rivoluzioni artistiche, mostrato al mondo tutto il meglio e il peggio del fare arte. Per Bonito Oliva, che molti considerano il “curatore per eccellenza”, la Biennale è quasi come la Chiesa cattolica. 

Il documentario racconta in 70 minuti serrati cinquant’anni decisivi che vanno dal 1928 al 1978. Sono gli anni dei Cinegiornali Luce e della Settimana Incom appunto, perché dopo, come ci spiega Sarno, bisognerebbe attingere ai tg che però hanno seguito l’evento in modo discontinuo. E ne emerge un racconto in bianco e nero, che non svilisce la pratica artistica sottraendo il cromatismo ma anzi esalta luci e ombre. “Del resto – come commenta lo storico Germano Celant – i libri d’arte fino all’Argan avevano sempre foto in bianco e nero”.

La Biennale venne fondata nel 1895 su iniziativa del sindaco Riccardo Selvatico, che era stato a Parigi all’Esposizione universale e ne era rimasto affascinato. Il 2015 ha segnato i 120 anni dell’istituzione, modello di tutte le mostre del contemporaneo nel mondo. Nel film scorrono alcuni momenti salienti di questa lunga e appassionante vicenda: i busti del Duce e il realismo socialista, il trionfo della pop art con il Leone d’oro a Rauschenberg, la rivolta del ’68 con le opere gettate in laguna, le polemiche contro l’arte concettuale, il famoso “mongoloide” di De Dominicis con annesso scandalo. Sarno affida alla voce dei commentatori dell’epoca, spesso ingenui e banalizzanti, il compito di restituire la percezione comune e viene subito in mente la mitica visita alla Biennale di Alberto Sordi e signora nell’episodio Le vacanze intelligenti (1978) diretto dallo stesso Sordi nel collettivo Dove vai in vacanza? 

Ma sono poi le molte testimonianze raccolte dal giornalista a raccontare la storia dell’arte del Novecento dall’interno: Marina Abramovic, Francesco Bonami, Achille Bonito Oliva, Germano Celant, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Bice Curiger, Maurizio Mochetti, Italo Moscati (che rievoca l’episodio del Cinevillaggio voluto da Mussolini durante la Repubblica di Salò, quando Cinecittà venne trasferita in Laguna, e lì vennero girati anche un paio di film), Luigi Ontani, Michelangelo Pistoletto, Paolo Portoghesi, Carlo Ripa di Meana. “Più di tutto mi ha colpito – dice Sarno – il racconto di Marina Abramovic della sua prima visita alla Biennale, quando aveva 14 anni. Era accompagnata dalla madre e si emozionò talmente da stare male, ebbe la sindrome di Stendhal”.

 

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09 Marzo 2016

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