Esce il 13 marzo, in 3D, 47 Ronin, kolossal con Keanu Reeves dall’ambientazione orientale ma dall’impostazione molto statunitense, che ricorda un po’ i classici del cinema d’avventura degli anni ’80, da Indiana Jones al Robin Hood con Kevin Costner, passando per Conan il barbaro. Basato su un racconto epico diventato una delle leggende giapponesi più longeve, il film narra una storia di coraggio e onore all’inizio del XVIII secolo, quando 47 nobili samurai rendono onore alla morte prematura del loro Signore vendicandolo.
Il mondo del film è di base ‘realistico’ e ispirato al look del vero Giappone feudale, ma non disdegna di includere anche elementi magici o mitologici come demoni, streghe, draghi e orchi d’ogni tipo. Un po’ lo stesso processo operato da Bruckheimer e Verbisnki per la saga dei Pirati dei Caraibi. “Il nostro obiettivo – dice il regista Carl Rinsch – è stato conservare e rispettare le emozioni fondamentali e i temi della storia vera ma guardandoli attraverso una lente che li rendesse pertinenti a un pubblico contemporaneo, che parla oggi la lingua del fantasy, della fantascienza e dei super-eroi. C’è l’Oni, un grande orco giapponese. Ci sono gli uccelli-guerriero Tengu. C’è un intero zoo di personaggi di fantasia che ci ha dato spunti interessanti da esplorare”.
Il personaggio di Reeves, che – ricordiamolo – porta nel sangue tracce inglesi, native hawaiiane, cinesi, irlandesi e portoghesi, è un’aggiunta al canone. Mezzosangue orfano che non si fida di nessuno, è un eterno outsider che lotta per adattarsi a una cultura radicata in un profondo senso di nazionalità. Secondo Reeves è una storia familiare a molti: “Nel suo percorso, lotta per essere integrato e accettato, ci si possono immedesimare molte persone. Conflitto tipico delle vicende di immigrazione: essere accettati senza tradire la propria identità. Come tutte le grandi storie, anche questa è universale”.
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