‘30 notti con il mio ex’, Ramazzotti: “No allo stigma sulla malattia mentale”

Al fianco di Edoardo Leo, Micaela Ramazzotti interpreta una "pazzerella piena di vita" nella commedia romantica di Guido Chiesa, in uscita il 17 aprile


“Ne ho interpretate di pazzerelle al cinema. Però di solito sono molto chiuse nella loro interiorità, depresse. In questo caso, mi piaceva esplorare un personaggio attivo, pieno di vita e di mondo. Desideroso di stare al mondo”. Micaela Ramazzotti introduce così il suo personaggio in 30 notti con il mio ex, la nuova commedia romantica di Guido Chiesa in uscita nelle sale il 17 aprile. L’ex che troviamo nel titolo, invece, è Bruno, interpretato da Edoardo Leo, un maniaco dell’ordine e “ansioso da manuale” che si trova a ospitare per 30 notti la sua ex moglie Terry, dopo due anni di terapia in un istituto di recupero per persone con disagi mentali.

Terry, infatti, sente le voci, che a volte sono buone e altre volte molto meno. Rinchiusa in uno stadio emotivo quasi infantile (“nessuno mi ha mai chiamato Teresa, come se non fossi mai diventata adulta” dice), è una donna vulcanica e inarrestabile, che ha totalmente rotto con le convenzioni sociali. La persona peggiore da avere accanto per un uomo come Bruno, che di mestiere fa il consulente finanziario e che passa la vita a calcolare rischi e segnare scadenze. Nonostante il titolo metta al centro il personaggio di Terry, il vero protagonista è proprio lui: un uomo che è stato costretto a cambiare per prendersi cura di sua moglie e di sua figlia.

“A volte succede in una coppia, che ti prendi il ruolo che ti lasciano. – dichiara Edoardo Leo – Bruno non era così, ha dovuto prendere un ruolo per senso di responsabilità, perché il ruolo di quella troppo esuberante ce lo aveva la moglie. La parte più difficile dello stare insieme è trovare quel punto di equilibrio. Il tema di fondo di questo film riguarda tutti: quella sensazione di frustrazione perché non riesci a stare insieme a una persona che ami tantissimo”.

Nelle 30 notti raccontate dal film si scontrano ordine e colore, regole e istinto, stabilità e libertà, controllo e caos, con due persone che sono chiamate a trovare un equilibrio, “mettendosi nelle scarpe l’uno dell’altra”. La grande metafora che ripercorre l’intero film è il Kintsugi – la tecnica di riparazione giapponese, che impreziosisce le crepe con l’oro – raccontandoci del modo in cui le persone sono costrette a rompersi, prima di ricostituirsi, più forti e belli di prima.

“Terry va un po’ a riaprire il passato di Bruno, cosa che lui non vuole perché l’ha messo in una scatola. – dichiara Ramazzotti – Ma noi siamo la nostra storia. Il fatto di ricordarsi da dove arriviamo, quanto apparteniamo a quello eravamo, quanto ci portiamo di quella luce. Lei riesce a dare un grande valore alla sua storia, perché ha una sensibilità maggiore delle altre persone. Lei ha fatto coming out della sua malattia, ne parla sempre, anche troppo. Non bisogna avere paura dello stigma della malattia mentale. Sono delle cose che vanno affrontate. Quando non se ne parla in famiglia, la malattia cresce e il disagio anche. Hanno tutti paura di avere un matto in casa. Ma bisogna accettarlo, perché la mente umana è fatta di paure e fragilità, però si può guarire”.

30 notti col mio ex è una commedia romantica leggera e a tratti molto divertente, che fin dalla promozione mette in secondo piano l’aspetto della salute mentale, cruciale nelle dinamiche narrative. L’obbiettivo è chiaramente quello di mettere i protagonisti in situazioni scomode ed equivoche, utilizzando la condizione di Terry come un pretesto. Cruciali, in tal senso, sono i personaggi di contorno: dalla figlia adolescente Emma (Gloria Harvey) che ha ereditato l’estro della madre, al suo ragazzo Lorenzo (Matteo Scattaretico), fino ad arrivare a una serie di ruoli secondari interpreti da carismatiche web star come Claudio Colica, Andrea Pisani e Beatrice Arnera.

In queste dinamiche si evince il tema caro a Guido Chiesa: “Ci è apparso chiaro fin dall’inizio che era un film che parlava di una coppia distrutta per il disagio mentale di uno dei due, ma anche per la paura e la rigidità dell’altro. – afferma il regista – Affrontava un tema universale: la difficoltà di rapportarci con l’altro, che sia esso un partner, un figlio, il datore di lavoro, il collega. L’altro è sempre il nostro limite, perché vorremmo che fossero come vogliamo noi. Queste due persone riescono alla fine a dialogare, mettendosi uno nei panni dell’altro. Non volevamo fare un film depressivo su questo argomento, perché pensavamo che se ne potesse parlare in termini leggeri”.

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09 Aprile 2025

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