Ogni mattina CinecittàNews vi presenta un panorama delle notizie con cui i media seguono il mondo dell’audiovisivo.
SANDRA MILO, ADDIO “MUSA GENTILE E GENIALE”
Da “La Stampa” a “Libero”, dal “Secolo XIX” al “Corriere della Sera”, da “la Repubblica” e fino al “Sole 24 Ore”, la scomparsa di Sandra Milo, a pioggia, riempie tutte le testate odierne. E, per il quotidiano torinese, è Maria Corbi a restituirne il ricordo usando due aggettivi, accanto a quel “musa” che tutti ribadiscono connettendola soprattutto a Federico Fellini: la giornalista la definisce “gentile e geniale” e così sintetizza due poli costitutivi di una donna in cui, proprio gentilezza e genialità hanno convissuto con bellezza. Corbi attacca il pezzo con “Non sono una signora, cantava Loredana Bertè. E Sandra Milo in quei versi si riconosceva: ‘Mai voluto esserlo, anche se ci ho provato’. Ma quel ruolo borghese non calzava con il suo spirito libero, fuori dagli schemi … Un edonismo nato dal dolore, dalla fame anche, dalla guerra … Elena Liliana Greco, ‘Sandrocchia’, come l’aveva soprannominata Fellini, nasce l’ 11 marzo 1933 a Tunisi per poi trasferirsi in Toscana, sfollata insieme alla mamma, alla nonna e alla zia in un paesino sperduto … È solo un adolescente ma sa di avere un corpo e quel ‘non so che’ che fanno perdere la testa. Gli uomini e l’amore costellano tutta la sua vita e la sua carriera. È un uomo a portarla a Milano, sedicenne, a fare la modella, e poi a Roma a Cinecittà. ‘Ero minorenne, facevo tutto quello che non si poteva fare. Ero felice. Volevo vivere’. L’esordio al cinema è nel 1955, è una hostess nel film Lo scapolo, di Antonio Pietrangeli, protagonista Alberto Sordi. Sceglie il cognome d’arte ‘Milo’, come la Venere, epitome di bellezza”.
MILO, PRIGIONIERA DI UN SOLO RUOLO: IL SUO CORPO
E’ Paolo Mereghetti sul “Corriere” a disegnare di Sandra Milo un profilo più analitico dal punto di vista della carriera cinematografica, tra “successi e flop”. E senza giri di parole lo scrive subito: “non ha avuto una carriera facile Sandra Mio”, “nonostante i riconoscimenti, il successo e la popolarità. Perché è sempre stata costretta a fare i conti con la propria immagine così come la vedevano gli uomini e poi a subirne le conseguenze. Il suo fisico di ‘morbida opulenza’ (come dice la voce che le ha dedicato l’enciclopedia Treccani del Cinema) le ha indubbiamente aperto la strada del cinema, ma ha finito per stamparle addosso un ruolo che ne ha mortificato le possibilità espressive. Difficile sopravvivere a un soprannome come ‘Canina Canini’, affibbiatole (da Lucherini?) dopo la pessima accoglienza di Vanina Vanini di Rossellini alla Mostra di Venezia del ’61. E visto che Rossellini era ancora un nume sacro del nostro cinema, deve essere sembrato più facile sfogare la delusione per un film non capito contro l’incolpevole Sandra Mio (che così fu scaricata dal cast di Io la conoscevo bene, sostituita dalla Sandrelli) … Per La visita il suo fondoschiena fu addirittura accentuato da una protesi ad hoc, il che finì per monopolizzare l’attenzione, lasciando in secondo piano l’ottima prova interpretativa … a pagare di più alla fine fu proprio Sandra Mio, inchiodata a un’immagine che non le si adattava ma che aveva finito per diventare la sua faccia pubblica … indirizzandola verso una vecchiaia non molto serena, dove finì (volontariamente o meno, poco importa) per cadere dentro qualche brutta e offensiva trappola mediatica”.
LA BELLEZZA SECONDO BENIGNI
E’ ancora “La Stampa” con Fulvia Caprara a dedicare spazio a Roberto Benigni, insignito del Dottorato Honoris Causa nella sede romana dell’Università di Notre Dame. Per l’attore e regista, la bellezza “per capirla bisogna portare sulle spalle il dolore del mondo” come accade alla Madonna, che lui ha incontrato: “è successo tre volte, un faccia a faccia che gli ha regalato riflessioni sul femminile molto più nitide di tanti discorsi teorici e di tante prese di posizione … ‘Sono nato in provincia di Arezzo, la mia famiglia viene da San Sepolcro, mia madre era poverissima, la sua era una povertà aristocratica, non ho mai visto una principessa come lei. Quando era incinta di me mangiava solo cocomero e anguria, non aveva altro, e aveva paura che il parto andasse male. Le sue amiche le hanno detto di andare a pregare a Monterchi, in una chiesa dove c’era una Madonna che faceva miracoli’. Il dipinto di Piero della Francesca intitolato La Madonna del parto riuscì a rincuorare la mamma in attesa: ‘sono andato a vederlo per tutta la vita, sono svenuto davanti a tanta bellezza. Il parto andò bene, almeno fisicamente, poi non so se quello che è nato sia stato proprio un miracolo riuscito al cento per cento’. Di quel quadro, continua Benigni, colpisce l’assenza di regalità: ‘e il volto di una dolcissima bellezza giovanile, proprio com’era la mia mamma. E una Madonna talmente umana da sembrare quasi atea, in lei non c’era posto per il divino, era una donna di quei luoghi, come mia madre’. Il desiderio di tornare dietro la macchina da presa è sempre vivo” e, afferma Benigni: “vorrei fare un film anche piccolo, in cui ci si possa lasciare andare a un momento di gioia e di spensieratezza, ma, per dare gioia, bisogna avere sulle spalle tutto il dolore del mondo”.
LA RIVOLUZIONE DI STOFFA CON L’ARCHIVIO LUCE
Moda. Una rivoluzione italiana è una docuserie Sky Original, regia di Laura Chiossone e consulenza di Sofia Gnoli, storica e critica della Moda. Lo si legge su “Vogue”, che titola l’articolo La rivoluzione di stoffa di Barbara Amadasi: “il documentario indaga la storia nel nostro Paese, dalla Belle Époque a oggi,e il legame tra ciò che siamo e come ci vestiamo, nell’alveo di oltre un secolo di mutamenti storici e sociali. Mentre scorre fluida la narrazione, scandita dai filmati originali dell’Istituto Luce e dai contributi”, la giornalista focalizza un momento preciso, il dopoguerra, quando “metri e metri di stoffa gonfiano le gonne, l’austerità del conflitto lascia spazio all’opulenza e a una ritrovata gioia di vivere. A Cinecittà arrivano le star di Hollywood, a Roma nascono sartorie importanti come quelle delle sorelle Fontana, Gattinoni, Schuberth, mentre a Firenze vanno in scene le prime sfilate collettive di brand italiani davanti a compratori e stampa internazionale”.
BALENCIAGA TRA PARIGI E IL NAZISMO
Michele Masneri su “Il Foglio” parla di Balenciaga e della “serie sullo stilista spagnolo. Sullo sfondo i nazisti a Parigi, le ansie dell’alta moda e del giornalismo perduti”. Il giornalista continua, constatando che “ormai l’audiovisivo sugli stilisti è un genere a sé” e così “è arrivata su Disney+ la serie spagnola Cristóbal Balenciaga, dedicata al creatore basco-francese, una storia poco conosciuta, raccontata tramite l’espediente classico dell’intervista, in questo caso reale, data alla giornalista di moda Prudente Glynn subito dopo il ritiro dello stilista, nel ’71. Dalla serie vien fuori il solito modulo (creativo stizzoso affiancato da marito paziente e razionale, Valentino con Giammetti, Saint Laurent con Pierre Bergé ecc.) ma si imparano tante cose: che nell’occupazione tedesca di Parigi i nazisti vogliono portare la moda francese a Berlino, ma odiano i cappelli; che la regina Fabiola del Belgio a cui farà l’abito da sposa era molto insicura del suo fisico (però nella realtà era una nobildonna spagnola molto cattolica, qui invece sembra un po’ una ragazza ye ye). Che lui è ossessionato dalla privacy, odia apparire, non esce mai a fine sfilata, è bizzarramente sconvolto che la gente voglia saperne di più, al suo mostrarsi di meno, e scioccato quando Coco Chanel mette in giro la voce che forse lui non conosce molto bene il corpo femminile”.
DOPO SANREMO ARRIVA MAMELI, ROCKSTAR DELL’OTTOCENTO
L’anteprima della mini serie diretta da Luca Lucini e Ago Panini anche su “Avvenire”, che raccoglie lo spunto emerso in conferenza stampa, della collocazione subito dopo Sanremo, per sfruttare la coda di un senso di unità nazione: protagonista Riccardo De Rinaldis Santorelli. Con Mameli “siamo riusciti a togliere la polvere dal Risorgimento, a farlo diventare vivo, e di questo dobbiamo essere grati alla Rai”, afferma Agostino Saccà, produttore per Pepito. E’ anche Beatrice Betuccioli per “QN” a riprendere il soggetto definendolo “Rockstar dell’Ottocento”: “la processione avanza per le strade del quartiere genovese di Oregina, diretta al santuario di Nostra Signora di Loreto. In quel dicembre del 1847, sono vietate le adunate di oltre dieci persone e la polizia sabauda vigila in forze. Ma quella è, almeno all’apparenza, una manifestazione religiosa. D’un tratto viene intonato un canto e a quell’improvvisato coro si uniscono oltre trentamila persone. ‘Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta’, cantano tutti a squarciagola. Le parole le ha scritte un giovane poeta e patriota mazziniano, Goffredo Mameli, genovese, come genovese è l’autore della musica, Michele Novaro. Aveva diciannove anni Mameli quando scrisse il Canto degli italiani e poco più di ventuno quando morì, ferito a una gamba, combattendo in difesa della Repubblica Romana”. Su Rai Uno, 12 e 13 febbraio.
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