30 anni fa i killer naturali di Stone e Tarantino

Tra i fantastici 15 film di quest'anno ricorre un anniversario importante c'è anche 'Natural Born Killers', il controverso cult diretto da Oliver Stone su sceneggiatura, poi rinnegata, di Quentin Tarantino


L’estate è il tempo di Natural Born Killers, arrivato nelle sale a fine agosto del 1994, presentato tra grandi attese e feroci polemiche alla Mostra del Cinema (dove vinse comunque un Leone d’argento benché fosse il favorito fino al giorno prima), saturo nel colore e gelido nel bianco e nero come un gelato uscito dal freezer e mangiato sulla spiaggia a 40° sotto l’ombrellone. Per Stone era la scommessa più azzardata: ottenere successo tra i teenagers con un film di rottura, ma pieno di ammiccamenti verso lo stile elettrico di MTV. Per lui era il battesimo del fuoco a vent’anni dal debutto con Seizure, mentre noi oggi rivediamo Natural Born Killers (nel Director’s Cut voluto dall’autore) a 30 anni dalla sua “prima”. Che effetto ci può fare dopo che il suo stile è stato mille volte ricalcato, dopo le accuse di copycat per la scia di delitti compiuti in modo imitativo dai ragazzi americani, dopo che perfino i massacratori di Columbine si chiamavano in codice NBK evocando in diretta il modello di Stone?

Partiamo ovviamente dalla sceneggiatura originale di Quentin Tarantino che il regista vendette nel 1992, l’anno del debutto con Reservoir Dogs, ai produttori Jane Hamsher e Don Murphy dopo aver tentato invano di dirigere il copione personalmente. Da qui il copione passò alla Warner Bros che lo offrì a Oliver Stone. Il regista trovò nella storia le radici di un tema che lo ossessionava – il corto circuito tra violenza e media -, ma anche gli echi di una storia vera: quella di Charles Starkweather e Caril Fugate, una giovane coppia del Nebraska che nel 1958 compì una serie di efferati omicidi. Lui finì sulla sedia elettrica a 20 anni, lei, che lo accompagnò nella fuga in macchina dopo aver fatto sterminare la sua famiglia, aveva appena 14 anni all’epoca dei fatti. Probabile che Stone ne avesse sentito parlare grazie a Badlands- La rabbia giovane di Terrence Malick del 1973, mentre è certo che aveva visto e amato Gateway di Arthur Penn. Di fatto però il tono quasi goliardico e molto “scritto” di Tarantino non gli piacque (l’ironia non è mai stata la più grande virtù di Stone) e riscrisse la sceneggiatura da capo con Richard Rutowski e David Veloz, mantenne solo i personaggi e una serie di situazioni nella seconda parte scatenando l’ira dell’autore originale che accettò solo di firmare il soggetto e giurò di non aver mai visto il film per intero bollandolo così: “Odio quella merda di film. Se vi piace il mio lavoro non guardate quello!” Poi – a quanto risulta – si prese anche a pugni col regista incontrato per caso al ristorante. Cose che succedono, ma il problema stava alla radice. L’intento di Stone era descrivere “un paese sedotto dalla fama, ossessionato dal crimine e logorato dall’invadenza dei media”. Ovvio che questa piega non interessasse Tarantino, tanto più che generazione e biografia dividevano radicalmente i due e che l’ossessione di Stone era “mostrare che viviamo in un’epoca in cui i media rincorrono la violenza”. Il taglio satirico si rintraccia qua e là in Natural Born Killers, ma è proprio la rappresentazione iper-realistica della brutalità senza ragione a prendere la mano e non è un caso che poi gli ambigui “eroi” del film siano diventati modello per i ragazzi che li avevano visti in azione al cinema.

I 56 giorni delle riprese sono stati raccontati da molti della troupe come un caos generalizzato in cui ogni sperimentazione veniva accettata e cavalcata con entusiasmo dal regista, alla ricerca di un’estetica inedita come dimostra l’uso delle tecniche più diverse (con il trionfo del grandangolo e delle inquadrature sghembe ovvero il Dutch Angle di Welles) e dei formati più disparati (dal Super8 al nastro magnetico fino all’animazione). E’ provato che sul set Stone non era sempre del tutto lucido per l’uso di stupefacenti (rischiò di andare fuoristrada sotto l’effetto di allucinogeni e riprodusse il tutto in una scena del film), veniva progressivamente catturato da ciò che intendeva mostrare criticamente (quando per errore Juliette Lewis spaccò il setto nasale a Tom Sizemore la incitò a continuare per filmare meglio il realismo della scena), cambiò la morale della storia in corso d’opera, forse influenzato dai fatti di cronaca nera (il massacro di Waco) che leggeva sui giornali. Tutto questo testimonia una verità molto semplice: si era imbarcato in un progetto che non gli assomigliava, indossava un vestito che non era il suo e la sua formidabile capacità tecnica gli venne in soccorso quasi suo malgrado. Infatti Natural Born Killers registrò un grande successo di pubblico, scatenò polemiche al vetriolo (cosa che invece apparteneva al carattere sanguigno del regista e quindi lo esaltò), divise la critica. A essere maligni, ripensando alla giuria della Mostra che gli sfilò all’ultimo il Leone d’oro, c’è da domandarsi quanto abbiano influito il parere di Uma Thurman (musa futura di Tarantino), un certo perbenismo di altri giurati, forse perfino il “sentimento” del direttore della Mostra, Gillo Pontecorvo, che aveva invitato il film ma certo aveva un’idea di cinema e di etica del tutto antitetica.

Natural Born Killers non è invecchiato bene: il post-moderno tarantiniano lo ha superato grazie a un’evidenza del fittizio sul reale e a un’esibizione volutamente straniata della violenza; l’estetica dei video MTV è finita in soffitta, i Simpson sono più cattivi di tutti i protagonisti di questa storia, la saturazione del vero – generata dalla tv – è stata trasformata ed amplificata dalla Rete. Si può dire allora che il messaggio profetico del film sia diventato la norma con cui ci confrontiamo giornalmente, ma – visto sullo schermo – suoni un po’come gli ammonimenti dei nonni: veri nella sostanza ma un po’stantii nella forma. Poi restano i meriti degli attori: Woody Harrelson ha costruito con il  personaggio di Mickey  la sua carriera, Juliette Lewis ha dato a Mallory un’ingenuità senza morale che traduce lo sguardo di Stone su un’intera generazione, Robert Downey Jr. porta con sé tutta la spietata amoralità dei media che tutto accettano in nome dello scoop e ne finirà vittima. Il finale del film lascia senza parole. Come dice Mickey nella sua ultima intervista  “è la natura che porta l’uomo a uccidere, perché l’uomo non è altro che un animale e, come tutti gli animali, ha il compito di uccidere gli altri”.

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28 Luglio 2024

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