In fila per Il Sol dell’avvenire, tra il pubblico per la ‘prima’ del nuovo Moretti

In fila per la prima de Il sol dell'avvenire al Nuovo Cinema Sacher parliamo con il pubblico più affezionato ai film e alla storia di Nanni Moretti. Ecco desideri e aspettative degli spettatori


Lungo la via che conduce al Nuovo Cinema Sacher, a Roma, un cantiere senza fine obbliga a girare al largo, sfiorare la Sala Troisi lì accanto e imboccare un breve corridoio. La strada si stringe e poi si allarga, dove una piazzetta accoglie un gruppetto di persone sempre più numeroso. Attraverso gli alberi in ingresso, scossi da una brillante giornata di primavera, appare l’insegna tanto attesa: “Il sol dell’avvenire”. È il primo giorno di programmazione peril nuovo film di Nanni Moretti e siamo alla sua sala in tempo per scambiare qualche parola con il pubblico delle 15.30. Sono quattro le proiezioni al Sacher e i primi spettatori ci raccontano desideri e aspettative.

Non sono trascorsi lustri dall’ultimo film di Moretti, ma Il sol dell’avvenire arriva in sala con un’aurea testamentaria, riassunto e rilancio delle istanze del regista simbolo di una generazione. Lui l’ha detto e ribadito, con questo film chiude un periodo, quello della prima gioventù, ma non è la fine. Resta però un evento, a cui si presentano in tantissimi già alle 15.30, quando il “sol” dell’avvenire vince su quello che brilla fuori dalla sala.

Le tre generazioni sono tutte lì. I più giovani sono studenti di cinema e loro amici. Conoscono Moretti dai libri, dai genitori, dalle vhs, dai racconti. Abbastanza da citarlo o contrattare sul film preferito. Quasi tutti però concordano: “il primo periodo” è quello più amato. Un ragazzo di 24 anni non tentenna ed elegge Bianca a prediletto. Ne Il sol dell’avvenire spera di ritrovare il Nanni capace di sfuriate liberatorie, “quello de Le parole sono importanti“. Vogliono “Un ritorno ad Apicella”.

Chi c’era quando tutto è iniziato, alla prima alba, sa perché è qui e ne fa una questione identitaria. “Un riconoscersi”, con la volontà di ritrovare “la coerenza di una generazione”, quella cresciuta con Moretti, “con tutta l’ironia che si porta dentro”. Essere affezionati a “Nanni” riporta al cinema, con speranza e interesse, ma anche senza aspettative, come a pranzo con un vecchio amico per vedere come va, che aria tira. L’ha detto Silvio Orlando, proprio l’altro giorno: “per capire come sta Nanni, bisogna vedere i suoi film”.

Un amico e una guida, a cui si ritorna consapevoli del tempo nel frattempo trascorso. “Lui è maturato, è andato altrove: è cambiato, lo siamo tutti”, racconta una signora affidandosi con il sorriso a una disillusione contraria al titolo del film, ma anche alle recensioni entusiaste pubblicate in questi giorni sulla stampa. “Non le leggo mai, le recensioni, sono qui per la maturità che mi colpì in Habemus Papam, il suo film più preveggente dell’ultimo periodo: mi aspetto molto”. Accanto a lei il marito fa un passo indietro, “Non ne so quanto lei”, ma questa è Roma, la città di Nanni, e alla conoscenza filmografica sopperisce l’incontro a tu per tu: “Posso dirti che per anni i suoi uffici erano accanto a casa nostra”, confida sostituendo la richiesta di un’opinione con un prezioso aneddoto: “Una volta sono uscito di casa con il mio gatto al guinzaglio, perché avevo paura mi scappasse, a un certo punto appare Nanni Moretti con la Vespa, mi guarda disgustato ed entra nel palazzo”.

Gruppetti e coppie, singoli ritardatari (“scusa non ho tempo: saran già finiti i biglietti!”) e studenti, tutti parlano di un Moretti ma ne descrivono una moltitudine. “Il primo periodo” ha confini elastici e a sorpresa è un ragazzo di appena vent’anni, studente di cinema, a dirci “perché no, Tre Piani è stato davvero interessante”. Si entra in sala per Nanni e a nessuno interessa se oggi, nel cinema italiano, ci sia o meno un altro e nuovo Moretti. “Perché Nanni è Nanni, e ora vado a salutarlo”.

 

20 Aprile 2023

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