‘Marmolada. Madre Roccia’, l’abbraccio di una montagna che, se sbagli, ti rimprovera

Cristiana Pecci e Matteo Maggi, autori del doc Sky Original - in anteprima a Trento, in Concorso - raccontano l’apertura della più recente via sulla parete sud del gruppo montuoso: con 4 compagni di esplorazione, alpinisti e climber, un suggestivo viaggio alpinistico che mostra anche gli effetti del cambiamento climatico


TRENTO – E’ il suono – quasi fosse una musica, che riverbera la materia della roccia – il primo elemento a raggiungere chi guarda, una melodia naturale riconoscibile, suggestiva alla percezione: la roccia, dunque, subito si dichiara “viva”, parlante oltre che portante, qualcosa con cui stabilire un rapporto, non solo fisico, ma quasi spirituale, permesso dal “dialogo” con la monumentale parete. 

Marmolada. Madre Rocciadoc Sky Original, anteprima assoluta al 72° Trento Film Festival, in Concorso – restituisce il senso della maternità evocata nel titolo, dell’abbraccio rassicurante, dell’accudimento premuroso, nella coreografia naturale delle montagne, seppur fissa per sua natura, ma che la macchina da presa inquadra in maniera danzante, così che “le quinte” rocciose, le pareti del gruppo alpino, restituiscano linee prossime a gesti di affettuose strette antropomorfe. E la sensazione s’amplifica perché questa Madre ha l’opportunità di abbracciare dei figli, umani, che si lasciano stringere, rispettosi della granitica solidità della Natura, qui fatta roccia, ma altrettanto pronti a misurarsi con questo “adulto” – in senso fisico, soprattutto – che indubbiamente li sovrasta per monumentalità, ma altrettanto, come in un’intimità famigliare, si lascia guardare nelle sue fragilità, quelle clamorose del cambiamento climatico.

I figli di questa Madre Roccia sono Matteo della Bordella, alpinista professionista e pioniere; Maurizio Giordani, alpinista locale e esperto di Marmolada; Massimo Faletti, guida alpina trentina al servizio di progetti sociali che sensibilizzino sugli effetti del cambiamento; con loro, fuori cordata, Iris Bielli, climber.

Cristiana Pecci e Matteo Maggi, autori del documentario – realizzato da Coldfocus e Sky – guidano visivamente l’impresa, di notevole impatto allo sguardo, che a più riprese suscita adrenalina anche in chi sta “solo” guardando: con Marmola. Madre Roccia, infatti, si racconta l’apertura della più recente via sulla parete sud di questa ‘grande muraglia’, che ha comportato un impegno di 7 giorni nell’arco di un anno, 20 tiri di corda, circa 20 spit e 20 chiodi, 935mt percorsi e 4 generazioni di alpinisti, per cui “la via attende ora una salita integrale, il suo perfezionamento definitivo”.

Cristiana, la ‘madre’ del titolo ha una potente componente suggestiva, perché nella visione riuscite a restituire la montagna come una mamma, un soggetto protettore, una creatura viva – penso al suono iniziale della roccia – ma anche fragile: quanto e come avete pensato al concetto di maternità in senso antropomorfo e come ci avete lavorato intorno?

Cristiana Pecci (CP): Prima di questo doc abbiamo proposto anche altre storie e questo approccio materno-paterno alla montagna era un argomento aperto, perché se la guardi al femminile è un diverso modo di approcciare alla montagna: la Marmolada ha reso possibile l’abbraccio, che ti accoglie ma anche ti rimprovera, se sbagli, quindi questo aspetto l’abbiamo notato ma è stato spontaneo, non cercato; questo anche grazie agli alpinisti, ai loro racconti, al fascino che suscita in loro, nello stesso Maurizio Giordani, che dopo mille anni di Marmolada ancora la guarda con gli occhi a cuore.

Quanto la tragedia del 3 luglio 2022, il distacco di un seracco dal versante nord, causa della morte di 11 persone, è stata per voi volano per ribadire il dibattito sulle conseguenze del cambiamento climatico?

Matteo Maggi (MM): È stato un argomento che non avremmo potuto non trattare. La coincidenza è stata che avessimo già scritto da un paio di mesi il documentario, approvato da SKY, e tre giorni prima del crollo fossimo dall’altra parte della montagna a fare un sopralluogo: così, quando poi è successa la tragedia, è diventato quasi uno scopo. Nella fase di montaggio ci siamo resi conto quanto fosse delicato scegliere a che punto del minutaggio parlarne, abbiamo avuto un momento di difficoltà: se non ne avessimo parlato, però, avremmo omesso. Gli alpinisti, più di chiunque altro, il cambiamento climatico lo vivono sulla loro pelle.

La montagna è uno di quegli spazi che per una spettacolarità estetica intrinseca si presta a essere ripresa e a restituirsi così anche più favolosa: da un punto di vista tecnico, quali sono state le scelte di regia più particolari e specifiche?

CP: La cifra stilistica del doc è l’audio: a un certo punto avevamo capito che non avremmo più potuto filmare bene con l’immagine, così abbiamo pensato che l’audio fosse il veicolo per essere sempre connessi. Quindi ci siamo organizzati tecnicamente per realizzare un audio auto-registrato, che ha immortalato i loro dialoghi, non solo tecnici, ma espressione di una condivisione di tutto. Poi, con l’aiuto di droni e altre tecnologie, siamo riusciti a arrivare là dove altrimenti non si arriva e così a ampliare lo sguardo.

La produzione del documentario è stata realizzata con SKY, che lo distribuirà: come è proceduto il lavoro ‘a più mani’ con loro, in particolare sul fronte editoriale, della creazione e finalizzazione del contenuto?

MM: Il documentario è la nostra passione, vivendo noi di pubblicità: con il documentario ci esprimiamo al massimo. Portare a termine un progetto del genere è una sfida, ma con quindici anni di esperienza sapevamo di poterlo fare, non ci spaventava la possibilità di fallire la missione; con la parte editoriale siamo andati sempre molto d’accordo, siamo felici di aver rispettato le loro aspettative tecniche, e poi abbiamo fatto un lavoro di premontato – possibile per i gap di mesi tra una spedizione e l’altra, così in corso d’opera abbiamo potuto lavorare insieme sulla direzione che il doc prendeva. Siamo stati abbastanza allineati, avevamo paura di dover lottare di più, mentre è andato tutto bene. C’è stato un confronto costante, bellissimo.

Nel doc non manca un senso epico: per restituire questo sentire, c’è stato del cinema a cui vi siete ispirati, per consegnare alla visione l’impressione di una straordinarietà leggendaria?

CP: Io tengo a dire che sono un’appassionata di documentario, molto più che di fiction, e ci sono tanti documentaristi poco conosciuti ma che hanno davvero stravolto il mondo del documentario, aprendo delle finestre con doc d’autore, film veri e propri che però raccontano la verità. Per questo specifico doc non c’è stata l’ispirazione a Eric Gandini, ma lo consiglio perché davvero è un punto di vista originale su tematiche profonde, che riguardano tutti noi, e lui è un punto di riferimento assoluto.

Nel doc – oltre agli alpinisti – ci sono altri due esseri umani, Franca e Dante Dal Bon, gestori del Rifugio Falier, testimoni e portatori di memoria storica. Qual era la vostra intenzione rispetto proprio al concetto di memoria, immaginandolo connesso a eredità e futuro?

MM: L’alpinismo è basato sulla storia, su chi ha fatto cosa prima di te. La presenza di Dante è stata fondamentale, cercavamo un punto di vista esterno: guarda ed è in contatto con loro, con gli alpinisti; quando abbiamo visto spontaneamente un vecchietto che col suo binocolo iniziava a guardare verso la parete abbiamo capito fosse lui; poi, mentre Franca era molto schiva alla telecamera, invece Dante non vedeva l’ora, per cui sono stati fondamentali, e anche la delicatezza con cui raccontano. Lui non ha mai toccato la roccia con le sue mani, per cui ha un rapporto con gli alpinisti di rispetto e conoscenza: lui è come un custode in osservazione, pur essendo cresciuto là sin dai quattro mesi, ha sempre tenuto come un muro tra la montagna e sé.

CP: Dante ha quell’esperienza meravigliosa che arriva dall’osservazione, lui conosce la Natura per vissuto personale, per cui, per esempio, noi gli chiedevamo: ‘nevicherà?’, e lui ha risposto: ‘nel bosco ci sono le ragnatele dei ragni, quando torno su dal sentiero e mi rimangono in faccia vuol dire sarà un bell’inverno’. Questa è davvero un’esperienza centenaria.

Marmolada. Madre Roccia a Trento 2024, in attesa del palmarès finale, intanto ha vinto il Premio Speciale “Città di Imola”, che si propone di valorizzare l’opera cinematografica o documentaristica che maggiormente si è contraddistinta tra i candidati per qualità artistiche e tecniche, nonché per l’esaltazione dei valori fondanti del C.A.I., l’originalità del tema trattato e/o della storia narrata.

La messa in onda del documentario, su SKY e NOW, è annunciata per i mesi autunnali.

 

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