Gabriella Pescucci: “Quella volta con Terry Gilliam e le ostriche”

Intervista alla costumista premio Oscar nel 1994 per 'L'età dell'innocenza'. A Cinecittà Si Mostra è esposto il suo lavoro per 'Le avventure del barone di Munchausen', e le serie televisive 'Domina' e 'Penny Dreadful'


In occasione del nuovo allestimento dei percorsi espositivi di Cinecittà si Mostra, il dipartimento educativo propone un programma di quattro appuntamenti destinati al pubblico degli adulti con delle speciali visite guidate agli abiti di scena e dei laboratori didattici rivolti ai bambini. Domani, domenica 26 maggio dalle ore 11.30 è in programma l’ultimo appuntamento dedicato e per questo abbiamo intervistato la costumista italiana Gabriella Pescucci – vincitrice premio Oscar nel 1994 per L’età dell’innocenza diretto da Martin Scorsese – per scoprire alcuni dei segreti su uno dei mestieri più creativi del mondo del cinema. In esposizione gli abiti di scena delle serie televisive Domina, Penny Dreadful e del film Le avventure del barone di Munchausen.

So che lei non ama parlare più di tanto e preferisce disegnare, per questo cercherò di non portarle via molto tempo.

Esatto. Io amo parlare con gli amici, ma non amo parlare di me.

Ma essendo una premio Oscar, tutto quello che dice per noi è fondamentale?

Io capisco che ho lavorato tanto e che ho fatto anche delle cose molto belle e altre meno belle. E continuo ancora, pur avendo ottanta anni, ad amare il mio lavoro. Io ho sempre pensato che un giovane se ha una passione fin dalla giovinezza, ce la farà nella vita. Questo perché concentra tutte le sue forze in quella strada. Non sei d’accordo?

A me vien tanto da ridere, ormai i giovanissimi fanno tutto sul cellulare, sono capaci anche di vedere un film su quel piccolo schermo e questo lo trovo orrendo. È la morte del cinema, perché la bellezza della settima arte è proprio come andare a un concerto, per due ore fai solo quello. È bella la grandezza, il fatto che lo schermo sia così enorme.

Forse la nuova generazione è più interessata allo storytelling?

Sì, ma il cinema non è solo narrazione, insieme a questa c’è l’immagine.

Lei in un’intervista ha dichiarato che venne a Roma da giovane con le idee chiarissime e da questo si percepisce quanto lei sia una persona tenace e ambiziosa, ma volevo chiederle, quando è stato il momento in cui ha capito che il cinema sarebbe stata la sua casa?

Ero una bambina molto solitaria e già a dieci anni disegnavo molto bene. Ho avuto la fortuna di avere un’insegnante di disegno alle scuole medie la quale suggerì ai miei genitori di mandarmi a Firenze all’Istituto d’arte. I miei genitori non erano ricchi, così hanno fatto dei sacrifici e mi hanno mandato. Ho capito abbastanza presto che il cinema sarebbe stata la mia casa. Io racconto sempre l’aneddoto di Scarpette rosse con Moira Shearer, avrò avuto sei anni, andai al cinema con l’amichetta e non uscivo più da lì. Tant’è che mia madre venne a cercarmi preoccupata. Trovavo tutto così bello con le tende rosse che si aprivano e questo stimolava la mia fantasia. La fantasia (forse sbaglio) viene dalla conoscenza e puoi dire: “se uno ha messo due virgolette, io ne posso mettere anche sei, voglio sbagliare!” “E questo ci da una grande libertà. Gli sbagli ci consentono di migliorarci. Il cinema è anche un lavoro di equipe, bisogna ascoltare le indicazioni di tutti. Adesso, ad esempio, vanno di moda le serie televisive che sono faticosissime per me e lo scenografo. Di solito girano due episodi insieme e noi siamo già a lavoro sui prossimi e io non ce la faccio perché per fare dei costumi ci vuole tempo. Ci vuole del tempo a ordinare le stoffe, quindi si rischia molto, deve andar bene quello che arriva. Poi, per le serie, c’è anche il problema che cambiano sempre regista.

Lei preferisce i film in costume, come mai?

I film moderni possono essere molto difficili, poi tutti mettono bocca, ma che palle! E la moglie del regista, poi la moglie del produttore, insomma tutti mettono bocca. Non è per niente facile così! Io mi diverto molto a fare un gioco quando sono al bar con la mia amica, guardiamo come sono vestite le persone, commentiamo e proviamo a indagare sulla sua personalità. È vero che il vestito rappresenta molto chi sei, cosa pensi, cosa fai nella vita. L’abbigliamento è uno dei primi strumenti di lettura di una mente. Poi, subito dopo viene l’arredamento della casa. Non dipende dai soldi.

Forse oggi è più difficile creare un’identità, soprattutto per i giovani che seguono tanti modelli sui social.

Sì, tutti cercano una propria identità e invece nella massa sono tutti uguali. Ne parlavo qualche tempo fa con dei sarti, siamo tutti fissati con il nero. Una volta, prendendo la metropolitana, mi sono resa conto che eravamo tutti con il giubbotto nero, poi a Roma che di notte in inverno sembra il Medioevo, vestiti di nero si rischia di essere presi da una macchina.

Come inizia il suo lavoro di ricerca per la realizzazione dei costumi?

A seconda del periodo, si attinge alla pittura o dalla fotografia, poi da lì si possono fare anche delle mescolanze. Quando hai una maturità, vuoi fare anche degli errori per aiutare il personaggio.

C’è un errore che si ricorda e di cui ci vuol parlare?

Ne ho fatti tanti, ma nessuno se ne è accorto! E di sicuro non saremo noi a svelarli.

C’è stato un abito a cui è rimasta più legata?

Ce ne sono tanti. Uno che mi è piaciuto moltissimo fare è stato quello di Michelle Pfeiffer in Sogno d’una notte di mezza estate di Michael Hoffman. Indossava questo mantello azzurro lunghissimo davvero splendido.

Presso “Cinecittà si Mostra” abbiamo l’abito indossato da John Neville nel ruolo del barone del film Le avventure del barone di Munchausen. C’è un aneddoto legato a quest0 abito che ricorda con piacere?

Terry è un grande (Terry Gilliam ndr), però è talmente matto che nessun produttore si fida. Ho un aneddoto molto divertente con lui: preparavamo Don Chisciotte (che poi andò tutto a monte) e andai in Spagna per incontrarlo. Dissi ai miei assistenti che il mio inglese non era un granché e mi dissero “ma va con Terry ti capirai sicuramente” e in effetti fu così, perché ci capivamo disegnando. Portai dei campioni di chainmail e gli piacquero e gli dissi che li avevo trovati in Germania e che servivano per fare i guanti di chi apre le ostriche. Feci un disegnino perché l’ostrica non sapevo come si dicesse, ma effettivamente sembrava una conchiglia. Lui mi chiese “the shell”? “No, no, non shell!” Mi tastai le orecchie e mi ricordai che indossavo delle perle, al che gli dissi “the place if you are lucky you found these” così lui esclamò “the oyster!”. Che poi fu buffo, credevo che sarei stata sola invece intorno a noi c’era il produttore spagnolo e tanti altri. Tutti mi guardavano come una matta, ma che ci potevo fare, “oyster” non mi veniva”.

Per la serie Penny Dreadful, ha realizzato un pezzo unico per Eva Green in lana con perline di vetro e pizzi autentici dell’800 recuperati da abiti d’epoca e riassemblati ad hoc proprio sul corpetto. Dove ha trovato questi materiali di pregio?

Non è facile, i plissé sono tutti fatti a mano e quindi vanno lavati necessariamente a secco perché altrimenti si apre. Si taglia, dalla spalla a terra, più o meno un metro e mezzo, poi le mie ragazze (che lo fanno meravigliosamente) una da una parte e una dall’altra infilano il tessuto in un tubo molto stretto, si fa asciugare al sole oppure vicino alla stufa per qualche giorno. Poi si apre ed ecco lì il plissé quello della scultura greca e romana.

Ci sono dei mercatini dove recupera questi tessuti particolari?

Soprattutto a Londra ci sono dei mercatini tutte le domeniche. Un mio ex assistente e grande collezionista va spesso e mi manda sempre delle foto dicendomi quanta metratura c’è di ciascuna stoffa e il prezzo. Io qualche anno fa andavo al marché aux puces di Saint-Ouen e trovavo un sacco di cose. L’Italia nell’Ottocento era un paese molto povero, per questo ci è rimasto pochissimo.

Per i costumi di Domina da quali fonti ha attinto?

La scultura. Poi pensi che in origine la scultura era dipinta. A noi piace la scultura bianca, ma erano dipinte! Se fai attenzione, sui resti del Partenone al British Museum di Londra c’è della polvere rosa in fondo. Anni fa in Germania ci fu una mostra che proponeva le statue famose dipinte e no piacque a nessuno. A noi le statue sono arrivate bianche, ma erano colorate!

C’è un regista del passato, con cui le sarebbe piaciuto lavorare?

Sono tantissimi.

25 Maggio 2024

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