Zucchero: “Lo sradicamento da mia nonna Diamante e la genuinità di Pavarotti, Bono e Sting”

Un docufilm sull’uomo e sull’artista, tra la campagna emiliana di metà ‘900, la depressione e il trionfo negli stadi dei cinque Continenti: anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2023 e in sala 23, 24 e 25 ottobre


“Grande voce, grandi emozioni, grande cuore; c’è il Blues, naturalmente, e il Soul” per Bono Vox; ed “è un dono, di Dio se vuoi” per Sting. Così parlano di Zucchero “Sugar” Fornaciari per cui: “Blues don’t care! Il Blues non ha confini, non ha Patria, non ha bandiere, se non quelle dell’anima. Di quello mi alimento per non schiantarmi il cuore”.

ZUCCHERO – Sugar Fornaciari è un film documentario – regia Valentina Zanella e Giangiacomo De Stefano – in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2023 e al cinema 23-24-25 ottobre e, restando proprio sulle corde emotive evocate, quelle del soul, è un viaggio nell’anima della persona e dell’artista, raccontato con la commistione degli archivi privati di Zucchero stesso e del trionfo planetario – soprattutto con le sequenze dal World Wild Tour, il suo ultimo mondiale – in cui si restituisce così non solo un ritratto biografico, personale o musicale, ma l’essenza dell’uomo, Adelmo.
Zucchero a Roma racconta che per questo progetto, il primo del genere con cui si sia misurato, avesse però “l’idea chiara che non dovesse essere celebrativo ma che ci dovesse essere una buona parte di Adelmo… che parte da Roncocesi nella Bassa emiliana e poi viene sradicato a 11 anni e portato in Versilia, dove non mi sono mai integrato: uno sradicamento soprattutto da mia nonna Diamante, cosa che mi ha fatto soffrire e per cui ancora adesso ho la sensazione di non sentirmi mai a casa da nessun parte, così ci sono pensieri malinconici; la malinconia fa parte di me, e forse per questo sin da ragazzino sono stato attratto dal Blues; il Blues è anche creativo e caldo, basta non si trasformi in depressione, che non auguro a nessuno perché è tosta superare certi passi. De Gregori, da sensibile, ha colto, e detto, centrandolo, il fatto della tribolazione: da lì secondo lui viene fuori il Blues. Nel film si parla della provincia emiliana un po’ come il piccolo mondo di Guareschi: il mio era un paesino con la cooperativa del Partito Comunista e la chiesta, e io sono cresciuto andando a suonare l’organo in chiesa, l’unico modo per imparare musica senza pagare, ma suonando musica progressiva, per cui in cambio dovevo fare il chierichetto, crescendo così tra sacro e profano, che ancora convivono, e tra cui non ho ancora deciso…”.

Da questa storia di musica, qui in cinema, conosciamo uno Zucchero “coerente nelle contraddizioni”, perché nella sua essenza c’è la portata trionfale dei mastodontici concerti ma anche la memoria della campagna emiliana, quella natale e altrettanto vessante, della metà del ‘900, tanto che, connessa a quella terra, appunto a Francesco De Gregori la voce di Zucchero ricorda quella di “un’altra cantante italiana, non molto conosciuta, Giovanna Daffini, che era una mondina, e che ha la stessa incrinatura nella voce, che è un’incrinatura di dolore di sofferenza, di tribolazione”: la bellezza vive proprio nell’apparente contrasto che si fa armonia nella creazione.

Una sofferenza, depressione, da cui lo stesso Zucchero racconta come sia pian piano emerso: “è stata una combinazione di cose: io non sapevo dove andare a stare, abitavamo a Forte dei Marmi con la mia ex moglie e le mie figlie; poi ho provato a tornare in campagna a Reggio Emilia dai miei, ma tornando a casa alle 4 del mattino dai concerti e con mio papà che alle 6 mi bussava e diceva di andare a dargli una mano nei campi, sono durato una settimana… Quindi non sapevo dove stare. Poi, una sera ero in una pizzeria e gli amici sentivamo proprio lamentarmi di questo: per combinazione c’era il sindaco di Pontremoli, Enrico Ferri, che mi disse sarebbero stati onorati di avermi, ma per me era solo un paesino sull’Appennino, ma lui mi mise alle calcagna uno dei suoi che ogni due/tre settimane mi faceva vedere borghi, mulini, e più erano belli più mi sentivo solo, perché o condividi con chi ami o io cosa cazzo me ne facevo? Dopo un anno vado a fare un giro con l’Harley, era settembre, e vedo nella valle una casa diroccata, scendo giù per una mulattiera, c’era un fiume vicino, e dico: ‘…senti che bel silenzio, senti che bel rumore…, così chiamo Ferri e… ‘o quella a niente’; lui ha trovato 13 proprietari che nemmeno sapevano più di avere quella proprietà e l’ho comprata ma con l’idea di non andarci mai: ero dilaniato tra stare con le mie figlie e i miei, ma rendendomi conto lì di essere a metà strada, così accontentavo tutti e accontentavo me, stando con i contadini e andando dai rigattieri, e in un paio d’anni stavo già meglio”.

Un uomo, un musicista, che in carriera ha venduto oltre 60 milioni di dischi, di cui 8 con l’album Oro, incenso & birra. È da primato, Zucchero, anche perché è stato il primo artista occidentale a esibirsi al Cremlino dopo la caduta del muro di Berlino, ed è l’unico artista italiano ad aver partecipato al Festival di Woodstock. “Io ho avuto la fortuna di essere molto amico oltre che aver collaborato oltre 12 anni con Pavarotti, convincendolo sul duetto di Miserere e da lì le 12 edizioni del Pavarotti & Friends: tra noi parlavamo in dialetto. Lui è stato un faro da seguire perché pur essendo planetario quando tornava a casa a Modena parlava dialetto, giocava a briscola con gli amici, o si faceva portare le sacchette di ciccioli a NY, era rimasto se stesso; come Bono o Sting, che sono rimasti genuini: per me la genuinità è alla base di tutto, prima di cominciare una collaborazione, un’amicizia. Puoi essere Gesù Cristo o il Re d’Inghilterra ma la cosa che mi fa dire ‘vale la pena coltivare l’amicizia’ è la genuinità, poi uno fa l’attore sul palco o in televisione, ma fuori da lì deve essere rimasto genuino, per me fondamentale”.

La sua musica si è estesa per i cinque Continenti nel nome delle tante collaborazioni con artisti internazionali, oltre a quelli che ha sin qui lui nominato: il film, infatti, racconta Zucchero sì dalla sua prima persona e viva voce ma anche nelle parole di Andrea Bocelli, Brian May, Paul Young, Salmo, Francesco Guccini, Roberto Baggio, Jack Savoretti, Don Was, Randy Jackson e Corrado Rustici e appunto De Gregori, Sting e Bono, e con questo doc torna a ravvivarsi la sempre pulsante overdose d’amore della sua arte, anticipando anche quella pura del palco che, proprio prendendo il nome dal suo celeberrimo brano, Overdose d’amore appunto, annuncia il ritorno dal vivo negli stadi, nel nostro Paese dal 27 giugno 2024, a Bologna (poi a Messina, e San Siro). “Il tour parte a fine marzo con tre sere alla Royal Albert Hall, facendo poi un giro fino a luglio/agosto 2025 in Sud America: io non ho mai seguito le regole del music business; io prendo spunto da BB King, Eric Clapton, gente che suona, per cui quella è la priorità, soprattutto in questo momento di sofferenza della discografia, dove viene prima il live della strategia, e il calendario è sempre aperto per me e spero continui così”.

“Dopo aver visto il film, ho pensato che… le testimonianze dei miei colleghi siano state anche troppo generose, non me l’aspettavo onestamente, e sono parsi vogliosi parlare di me e della mia storia. La domanda che mi sono fatto vedendo l’insieme è stata: ‘come ho fatto?’. È vero che ci vuole la costanza, la tenacia, ma nel mio caso è stata anche un’esigenza: ero partito dicendo ‘vorrei fare il musicista e vivere decorosamente’, e per me era più che sufficiente, insomma non miravo a essere Elvis, ma nemmeno pensavo che un giorno mi avrebbero fatto fare un disco, infatti i primi dieci anni sono stati molto duri… col genere che volevo fare e con la voce che avevo mi dicevano che qui non sarei funzionato, ma a casa avevo già una famiglia; le ho provate tutte fino all’ultima spiaggia, il brano Donne, e con Donneclassificata penultima a Sanremo -, grazie alle radio che hanno cominciato a suonarla mi hanno permesso di fare un altro disco. A parte il talento c’è una componente di fortuna e occasioni, che non mi sono mai goduto fino in fondo: tra il ’90 e il ’92 ‘ero talmente depresso che solo l’idea di stare meglio mi spaventava’ come dico nel film, ma lì mi sono capitate le cose più incredibili, come il tributo a Freddy Mercury, poi scrissi Miserere, e Senza una donna è nata quasi per gioco tra me e Paul Young, diventando numero uno in posti inimmaginabili del mondo; ma stavo malissimo, quindi invece di dire ‘wow’ ripetevo di non avere la forza, le energie, quindi è stata una cosa un po’… tribolata; adesso va molto meglio, per oggi…”.

ZUCCHERO – Sugar Fornaciari è una produzione K+, in collaborazione con Adler Entertainment e Ela Film, ed è distribuito da Adler Entertainment.

Nicole Bianchi
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