Zootropolis: Abatantuono è di nuovo ‘uno strano animalo’

L’attore dà la voce a un buffo animale nel nuovo film Disney-Pixar in uscita il 18 febbraio


Zootropolis è una città perfetta, dove tutti gli animali sono evoluti e se ne vanno in giro per strada a comprare ghiaccioli o vestiti come un qualsiasi essere umano. Predatori e prede hanno trovato un perfetto equilibrio, e pecore e lupi possono convivere pacificamente, o almeno questo è quello che crede la coniglietta Judy, neo-assunta della centrale di polizia che dalla campagna si trasferisce in città per realizzare il suo sogno di diventare un onesto tutore delle forze dell’ordine. Ma gli altri animali non credono che un coniglio possa farcela e la sua strada sarà lunga e complicata, intenerita però dall’amicizia della volpe Nick, un ‘poco di buono’ che si rivelerà avere un cuore più grande del previsto.

Il film d’animazione Disney-Pixar, diretto da Byron Howard e Rich Moore e prodotto da Clark Spencer, in arrivo in sala il 18 febbraio, offre intrattenimento riflessivo e di grande spessore ad adulti e bambini, ed è impreziosito nella versione italiana dalle voci di Diego Abatantuono, Massimo Lopez, Teresa Mannino, Frak Matano, Leo Gullotta, Nicola Savino e Paolo Ruffini. Altra presenza d’eccezione è quella della cantante Shakira, nei panni di una sexy gazella canterina. “Sono legato ai cartoon Disney da sempre – dice Abatantuono – mio padre investiva in proiettori e cineprese e spesso proiettavamo in casa cartoni animati come quello formidabile di Paperino in campeggio. Poi questi strumenti mi sono tornati utili, anche se un monolocale non mi sarebbe dispiaciuto. Nel film interpreto un animale di piccola taglia. Mi avevano proposto un elefante ma era meno divertente, era troppo in linea col mio fisico e non faceva contrasto. Non sono molto esperto di doppiaggio, anzi vi rivelo una cosa che non ho mai detto a nessuno prima. Per il film Il segreto del Sahara, che era pieno di attori fantastici come Ben Kingsley, Andy McDowell e Miguel Bosè, e in cui interpretavo un personaggio di poche parole, che si chiamava ‘Orso’, chiesi al regista di farmi doppiare da qualcun altro, che avesse la voce simile alla mia. Io avevo recitato in inglese ma nella sala dei doppiatori mi sentivo a disagio, non funzionavo proprio, e volevo anche andarmene in vacanza, così scegliemmo questa soluzione facile”. 

“Canto ancora le canzoni de Il libro della Giungla – commenta Lopez – anche quando sono solo. Sono dei grandi classici che ti lasciano qualcosa. Doppiarli è un po’ come essere Zelig di Woody Allen, ti devi adattare al personaggio, lo sforzo è trovare la voce adatta per una certa fisicità. Io sono un sindaco leone, quindi ho fatto un po’ la voce grossa, e anche un po’ da vanesio. Ma non è come doppiare un attore. E’ un personaggio finto, che già qualcun altro ha interpretato. Quindi da un lato devi essere fedele all’originale, sia vocalmente che in relazione all’immagina, ma a volte capita anche che provi una strada diversa, che funziona e si sposa perfettamente”.   

“Il personaggio di Fru Fru mi somiglia – continua Teresa Mannino –  ha una voce squillante, il nasone e tanti capelli. Ho una bimba di sei anni per cui Frozen è stato il mio ‘incubo’ degli ultimi mesi, lo vedevamo in continuazione. Magari Zootropolis ci fa cambiare un po’ aria. Quello che mi piace degli ultimi film Disney è che presentano personaggi femminili risoluti, non in attesa di un uomo che le salvi. Come poi deve essere nella realtà. E in questo caso anche un inno alla libertà: nessuno deve dirti chi sei, tu puoi essere quello che vuoi, anche se la società ti vorrebbe diverso, anche se il tuo fisico ti crea impaccio. Veniamo tutti catalogati: tu sei l grande di casa, il piccolo, la bella, la brutta, la brava. Ma per i bambini è liberatorio sapere che invece possono scegliere loro chi esser veramente”. “E siamo alla conferenza di un film Disney – commenta scherzosamente Ruffini – figuriamoci se era un film di Lars Von Trier”.    

Chiuso l’incontro con i doppiatori intervengono a parlare della pellicola anche i due registi e il produttore: “Tutti i nostri film – dice Howard – iniziano con la ricerca. Per un anno abbiamo studiato il mondo animale, prede e predatori e abbiamo cercato di capire come si rapportassero gli uni agli altri. Judy pensa che Zootropolis sia un mondo perfetto, è un’ottimista, ma dovrà crescere e capire che le cose non sono così semplici. E’ una storia di maturazione e crescita”. “Collaboriamo molto di più da quando ci coordina John Lasseter – dice Moore – è come se ora fossimo noi stessi una piccola ‘Zootropolis’. Prima gli studi erano più isolati, funzionava tutto in maniera diversa”. “Da un punto di vista visivo – commenta Spencer – il pelo è stata la cosa più difficile da ricreare. In passato lavorando col 2D era facile imbrogliare, come in Bolt, ma oggi tutto risulta più evidente quindi devi lavorare tanto per simulare ogni tipo di pelo e il movimento del vento e dell’aria, altrimenti sembra di avere a che fare con peluche o con umani vestiti da animali. E ogni animale ha un pelo diverso, li abbiamo guardati al microscopio: l’orso polare lo ha trasparente, la volpe lo ha scuro alla radice e chiaro in punta. Ci sono voluti oltre diciotto mesi per sviluppare la tecnologia adeguata”.

Il film è anche una parabola sulle difficoltà di convivenza tra specie diverse e sulla paura che la rabbia prenda il sopravvento, con riferimento inevitabile agli attentati terroristici degli ultimi anni: “E’ fruibile a più livelli – dice ancora Howard-  i bambini colgono alcuni aspetti, gli adulti altri. Noi partiamo da un’emozione, non stiamo lì a dire ‘mandiamo uesto messaggio’, lo facciamo trasmettendo altro”. Una delle scene più divertenti riguarda dei bradipi, messi a lavorare in un contesto burocratico, dove svolgono le loro azioni in maniera lentissima: “E’ un simbolo internazionale – dice Moore – abbiamo portato il film ad Annecy e la gente in sala, durante quella scena, è morta dal ridere. Ci siamo chiesti ‘che lavoro potrebbero fare questi animali?’, così siamo corsi da Lasseter e glie l’abbiamo recitata davanti agli occhi, già con i tempi comici ben chiari in mente. E lui ha alzato il sopracciglio e mosso le labbra come fa quando gli piace qualcosa. Crearla è stato facile, realizzarla per niente. Coordinare doppiaggio, tempi e movimenti non è cosa da poco, ma ne è valsa la pena. I bambini guardano i loro genitori ridere a quella scena e anche questo unisce le famiglie. Questo è il senso di un film Disney, non sono ‘film per tutti’ per modo di dire, sono film che possono piacere a me, mio padre, mia madre, mio fratello, e andare a vedere bei film e condividerli con le persone che ami è meraviglioso”.        

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01 Febbraio 2016

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