CANNES – E’ un’eroina forte, una vera gangster, truffatrice e all’occorrenza violenta, ma anche dotata di una forte tempra morale, la protagonista di I figli del fiume giallo (Ash is Purest White) di Jia Zhang-Ke, nelle sale italiane dal 9 maggio, in perfetta linea con il ribaltamento di ruoli tra maschile e femminile di cui si parla molto in questo festival. Forse non il suo film migliore ma certamente un’opera ricca di spunti interessanti con alcuni momenti esaltanti disseminati nelle due ore e venti di durata.
Zhao Tao, l’attrice e musa del regista, oltre che sua compagna, premiata in Italia con il David di Donatello per Io sono Li di Andrea Segre, è Quiao, amante di Bin, un boss della malavita organizzata (Liao Fan). Una vera leonessa che ama le pistole e non esita a sparare per difendere il suo uomo dall’aggressione di una banda rivale di teppisti che gli sta spaccando la testa. Ma quando esce dal carcere dove ha scontato cinque anni al posto di Bin, per detenzione di arma da fuoco, trova una Cina profondamente cambiata e un’altra donna accanto a lui. Deve arrangiarsi, inventarsi stratagemmi per risalire la china – e le sue fantasiose truffe sono una parte molto divertente di un film che alterna il registro drammatico a quello più leggero – e cercare di rifarsi una vita, pur non dimenticando mai Bin.
Spetta a lei – e non al debole e mutevole ex compagno – rappresentare il senso dell’onore degli Jianghu (la Triade mafiosa), mentre l’uomo è pronto a cambiare pelle pur di restare a galla legandosi a nuovi business apparentemente più puliti. Leone d’oro alla Mostra di Venezia con Still Life, il 48enne Jia Zhang-ke è uno dei registi indipendenti più amati, capace di alternare documentario e finzione e di portare la ricerca documentaristica dentro alla finzione, come accade in questo film che segue le peregrinazioni di Quiao dal Sud al Nord della Cina con vari mezzi di trasporto, dal battello al treno, e racconta ancora una volta la costruzione della Diga delle Tre Gole sul Fiume Azzurro e la conseguente deportazione di intere popolazioni.
“Ho lavorato a questo film per tre anni – spiega il regista che non aveva mai avuto a disposizione un budget tanto alto – e attorno ai temi della cultura cinese Jianghu che ha un doppio significato, vita drammatica e vita pericolosa. Questa storia si svolge nel corso del tempo, dal 2001 al 2018, con drastici cambiamenti nei valori e nella vita quotidiana. Le immagini che vedete in parte le ho girate io stesso con le videocamere che porto sempre con me dal 2001, in questo film ci sono spezzoni girati con sei videocamere diverse, sia in digitale che in pellicola”. E se nel precedente Al di là delle montagne, visto qui a Cannes nel 2015, era un triangolo amoroso a guidare lo spettatore, qui è una coppia che si separa, per poi ritrovarsi e perdersi di nuovo. “Sia Quiao che Bin mantengono la loro libertà perché credo che in loro ci sia, sopra ogni altra cosa, una natura ribelle”, dice ancora Jia Zhangke.
Quanto al titolo, Ash Is Purest White, il riferimento è alla cenere di un vulcano, materia che le altissime temperature rendono purissima. “In questi anni la Cina ha vissuto folgoranti e radicali cambiamenti, c’è stata molta distruzione ma sono anche arrivate delle cose nuove, che si esprimono anche a livello dei sentimenti degli individui, della sofferenza personale, oltre che nella società. Quando tutto è distrutto, la cenere rimane e dalla cenere può nascere qualcosa”.
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