TORINO – La prima idea gli è venuta vedendo un’immagine di moda, un ragazzo molto giovane vestito con un completo scuro. “Ho avuto la sensazione di una responsabilità enorme che pesava su quelle spalle giovanissime e mi sono immaginato tutto un contesto”, racconta Gianni Zanasi, il regista bolognese che concorre al Premio Cipputi al Torino FF con il suo nuovo film La felicità è un sistema complesso, prodotto da Pupkin con IBC e Rai Cinema, in sala dal 26 novembre con BIM. Un film che arriva a sette anni dal precedente Non pensarci con cui ha non pochi elementi in comune, a partire dai due protagonisti: Valerio Mastandrea e Giuseppe Battiston. Attori-autori, come dice lui, spiegando che nel suo modo di lavorare conta molto l’improvvisazione nella costruzione dei personaggi e la ricerca di una verità. Ma se in quell’altro film, diventato anche una serie tv, Mastandrea era il figlio musicista e scapestrato di un imprenditore in bancarotta, qui è Enrico Giusti, consulente di un’azienda che opera “salvataggi” di grandi imprese in difficoltà convincendo manager irresponsabili o presunti tali a lasciare le redini a favore di potenti multinazionali pronte a esternalizzare e delocalizzare secondo le regole della new economy per innalzare i profitti. In realtà nel compiere un lavoro unico nel suo genere – che forse esiste, forse no – sta cercando di raddrizzare il torto compiuto da suo padre, imprenditore scappato con la cassa, e nel ruolo mette un surplus di convinzione etica, come un Che Guevara all’incontrario. Finché l’incontro con una buffa ragazza israeliana (Hadas Yaron, miglior attrice a Venezia per La sposa promessa) e con due ragazzini “perbene” che hanno ereditato un impero finanziario e non vogliono mollarlo, non rimette tutto in discussione. “Il personaggio di Enrico Giusti – spiega il regista – è contradditorio, unisce innocenza e cinismo, è appassionato e arido, giovane e vecchio, oscilla in modo vertiginoso tra gli opposti. La finanziaria lo comanda e lo manipola come lui manipola tutti gli altri”.
Una commedia dolce e amara, sentimentale ma non troppo, con un forte retrogusto sociale, ma soprattutto un film inafferrabile e difficile da definire con attori in stato di grazia e grande libertà narrativa, anzi una certa anarchia ben controllata. Per Mastandrea, che a Torino è anche presidente della giuria principale – “esperienza più che mai necessaria per un attore perché ci si confronta con le altre cinematografie in contesti più sani, senza l’incombere del marketing” – “Zanasi non sa perché racconta una cosa e cerca i punti di riferimento insieme a te chiedendoti di essere te stesso. Il primo copione che mi ha dato da leggere era di mille pagine ma già a pagina 2 ho capito che il personaggio mi somigliava tantissimo. Insomma, lo amo perché fa un cinema senza punteggiatura”.
Zanasi ricambia le cortesie: “Valerio è uno che non giudica e mette del divertimento anche quando affronta temi seri e cose gravi”. E aggiunge di aver bisogno di attori come lui, che entrano istintivamente nell’acqua come pesciolini. Tra questi anche Hadas Yaron, una specie di marziana che il protagonista si ritrova in casa all’improvviso (suo fratello, prima di lasciarla con la scusa che sta andando in Nicaragua a fare volontariato, le ha dato le chiavi) e che rivoluziona la sua routine. “Sono un po’ perduta e allo stesso tempo libera, forte, in contatto con me stessa, non sono una che recita o fa giochetti, per essere coerente con me stessa sono in lotta costante con me stessa”, così Hadas racconta il suo personaggio. Una che preferisce dormire per terra, che tenta il suicidio con i barbiturici ma che ha anche una grande allegria.
Il titolo viene da una scena mai girata, in cui un filosofo di origine polacca esponeva la sua teoria secondo cui nel mondo attuale siamo talmente connessi gli uni con gli altri che è impossibile essere felici da soli. E per Zanasi, che rivela come la sua più grande paura quella di invecchiare, La felicità è un sistema complesso è anche, in qualche modo, una dichiarazione generazionale: “Mi piace che qui i giovani ci prendano in contropiede. Potevamo aspettarci dei figli di papà viziati, apatici, che si drogano, invece i due ragazzi non sono stupidi e si pongono davvero il problema di cosa succederà agli operai se chiude lo stabilimento, vogliono poter andare in giro per il paese senza essere considerati dei mostri”. E sulla colonna sonora di Niccolò Contessa, valore aggiunto del film, spiega: “Ho un modo istintivo di sentire le immagini, hanno tutte la musica dentro e mi piace liberarla. Anche Io la conoscevo bene di Pietrangeli, che ho appena rivisto, è pieno di musica. Anzi, se uscisse oggi forse direbbero che c’è troppa musica. Ma se cominci a togliere ti ritrovi con un cinema talebano: senza musica, senza movimento di macchina e devi anche pagare per andare al cinema a soffrire. Allora io penso che sia giusto ridare violenza alle emozioni con la musica”.
E poi, se proprio deve riassumere, spiegare di cosa parla La felicità è un sistema complesso, la mette giù così: “Di quanto sia necessario, indispensabile e allo stesso tempo ambiguo, cambiare. Di come basti poco per diventare più grande e di come basti altrettanto poco per diventare un vecchio, e non soltanto in senso anagrafico, che è la cosa peggiore che possa capitare. Insomma, un film sul cercare di crescere. Per evitare che la storia diventasse retorica, mi sono forzato di raccontarla da dentro i personaggi, dall’interno dei loro sentimenti complessi e sempre in movimento. Per me i personaggi, come le persone vere nella vita, sono interessanti quando cercano qualcosa e lo fanno in modo non del tutto coerente, sorprendendo se stessi per primi”. Ma alla fine “ci vogliono almeno due anni per capire che cos’è un film, quindi datemi tempo”.
Dai 26.900 del 2014 si è passa ai 29.700 del 2015, gli incassi da 254.369 € a 264.882, ciò per effetto del maggior numero di ingressi a prezzo ridotto per giovani al di sotto dei 26 anni e delle numerose convenzioni
Il regista danese ha accompagnato al TFF la proiezione di Terrore nello spazio nella versione restaurata: “E’ un modello di cultura pop. Questo film di grande artigianato ha in sé molti approcci stilistici del film di fantascienza e ha superato la prova del tempo. Design, costumi, scenografia risultano efficaci al pari di quelli di titoli come Blade Runner e 2001 Odissea nello spazio. Ma c’è un altro film sottovalutato che andrebbe restaurato Città violenta di Sergio Sollima, con Charles Bronson”. Silenzio assoluto sul nuovo film The Neon Demon e sul progetto tv Les Italiens
A La patota di Santiago Mitre vanno il Premio Speciale della giuria e il Premio per la Miglior attrice a Dolores Fonzi; il Premio per il Miglior attore a Karim Leklou per Coup de chaud, film di Raphaël Jacoulot che conquista anche il Premio del pubblico. Premio per la Miglior sceneggiatura ex-aequo a A Simple Goodbye di Degena Yun e a Sopladora de hojas di Alejandro Iglesias Mendizábal. A Italiana.doc premiati Il solengo di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis e La gente resta di Maria Tilli. Premio Fipresci a Les loups di Sophie Deraspe e Premio Cipputi a Il successore di Mattia Epifani
Conferenza stampa di chiusura veloce e senza polemiche. Paolo Damilano, presidente del Museo nazionale del cinema, si dichiara molto soddisfatto e ricorda che "Valerio Mastandrea, presidente della Giuria, si è stupito quanto il nostro festival sia frequentato e seguito dal pubblico". La direttrice Emanuela Martini incassa il sostegno dei vertici del Museo del Cinema e si dichiara disponibile rispetto al programma cioè “a tagliare al massimo 20, 30 titoli” e anticipa l’idea di replicare il prossimo anno la maratona cinematografica di sabato.
I Premi collaterali
Dustur di Marco Santarelli premiato due volte