VENEZIA – Un giovane è accusato di aver violentato una ragazza. Il presunto stupratore dice di essere innocente. Sta mentendo o è la vittima a farlo? O, forse, ognuno ha una percezione diversa di ciò che è accaduto? Con il suo ultimo film, Les choses humaines (The Accusation), presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia, Yvan Attal invita lo spettatore a indagare sul senso e sulla molteplicità di una verità che cambia a seconda dell’individuo, facendoci entrare nell’aula di tribunale e lasciandoci il compito di decidere la nostra verità. Il regista francese ha affidato al figlio Ben e a Suzanne Jouannet i ruoli dei due protagonisti. Ma non sono i soli di questa storia in cui non mancano i riferimenti al #MeToo.
Alexandre è un 22enne francese che frequenta una prestigiosa università americana e che rientra per pochi giorni a Parigi. I suoi genitori sono separati. Jean Farel (Pierre Arditi) è un importante conduttore e giornalista, Claire (Charlotte Gainsbourg, compagna di Attal da trent’anni, e madre di Ben) è una saggista nota per il suo femminismo radicale. Per loro Alex è un figlio modello. Fino a quando Mila, la figlia del compagno di Claire (interpretato da Mathieu Kassovitz), non accusa il giovane di averla violentata. Quell’accusa di stupro metterà in moto un’inestricabile macchina mediatico-giudiziaria che presenterà verità opposte.
Attal è partito dall’omonimo romanzo di Karine Tuil per portare sul grande schermo un film che mostra i due punti di vista, di lui e di lei, e dà allo spettatore modo di decidere a chi credere. “Il libro mi ha colpito molto. Ho trovato che affrontasse un argomento molto contemporaneo – ha raccontato alla stampa internazionale il regista – Leggendolo ho pensato: se mi metto nei panni del padre del ragazzo, difendo lui. Se mi metto nei panni del padre della ragazza, difendo lei. Sono rimasto sconvolto da questo e ho capito che le cose sono molto complicate. Perché la verità non è una sola. Ognuno di noi ha la sua. Non tutti abbiamo la stessa percezione delle cose”.
Per rendere neutrale il suo punto di vista, Attal ha dovuto calibrare le verità dei personaggi, sia in fase di sceneggiatura che di montaggio. “Non dovevo prendere la parte né dell’uno né dell’altro, doveva esserci un equilibrio tra i personaggi di questa storia complessa e difficile”. Il rischio, nel realizzare un film che tratta di un tema così delicato come quello della violenza sessuale, però, per quanto voglia essere imparziale, è che comunque possa venire interpretato come una difesa di stupratori che affermano di essere innocenti. “Spero che questo non avvenga – ha ribadito il regista – Non volevo fare un film manicheo, ma neppure tradire la causa delle donne che combattono contro la violenza, una lotta che naturalmente trovo giustissima. La cosa interessante qui è che si parla anche della difficoltà della giustizia di decidere”. Poi ha aggiunto: “Oggi abbiamo la sensazione che la giustizia non si fa nei palazzi, ma fuori”.
Per interpretare il suo personaggio, Jouanne si è documentata sulle storie di alcune donne vittime di stupro. “Mi è servito per sentirmi il più possibile vicina a Mila”, ha raccontato l’attrice, nei panni di una 17enne liceale, dall’aria timida e introversa. La mattina seguente allo stupro, Mila confessa tutto alla madre, un’ebrea ortodossa praticante (interpretata da Audrey Dana), che cerca di farla desistere dallo sporgere denuncia per evitare scandali. Ma la ragazza andrà avanti per la sua strada. Ben si presenta, invece, come un giovane affascinante, dall’aspetto dolce, che scopriamo però relazionarsi alla donna e al sesso in maniera anche aggressiva, come dimostra una scena in cui parla con una sua ex. Attal mostra entrambi i personaggi tra luci e ombre, tra ingenuità e bugie. L’intento del film, come ha sottolineato anche il produttore Olivier Delbosc, era “aprire al dibattito, alla pari del libro. È ciò che deve fare il cinema”.
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