Ninjababy è un titolo, ma soprattutto una parola sola che racchiude in sé un intero universo, per questo molto efficace. Yngvild Sve Flikke (regista), com’è nato? Sono felice che lo trovi ‘giusto’! Per molto tempo è stato L’arte di cadere, però mi sono resa conto non fosse il titolo capace di esprimere il senso del film. Ninjababy per un po’ mi ha spaventata, temevo potesse essere recepito come un film per bambini, e non lo è assolutamente, è un film per adulti: poi però, pur non essendo protagonista Ninjababy, perché protagonista è Rakel ma Ninjababy è parte di lei (Kristine Thorp, già in Sick of Myself di Kristoffer Borgli, all’ultimo Festival di Cannes, ndr), abbiamo ritenuto fosse il titolo giusto perché restituiva l’elemento giocoso, divertente, una cosa molto importante per me; è un film che parla di un tema serio, ma lo fa in maniera allegra e io volevo che questo aspetto venisse conservato e messo in luce.
Il tema è delicato quanto gigante, la maternità. Ma non meno lo è il senso dell’ironia, che nella vita di Rakel, fumettista di 23 anni, si fa altrettanto necessario e saggio compagno di un viaggio, che non è solo quello che lei sta intraprendendo come spostamento – e durante cui scopre di aspettare il bebé – ma è soprattutto quello “controcorrente” da se stessa, che non ha mai desiderato essere mamma ma adesso le tocca fare i conti con il suo “fottuto bambino ninja fottutamente subdolo!”.
La maternità è un tema complesso, che appunto lei ha scelto di trattare con leggerezza, disincanto, ironia. Perché le interessava questo soggetto e perché l’ha trattato così? Una scelta originale sì, ma anche coraggiosa. Volevo fare in realtà un film sull’essere genitori, non esattamente sulla maternità. Io stessa ho avuto due gravidanze, assolutamente desiderate, ma volevo parlare di quello che si pensa, di quello che si prova, dei dubbi, delle domande, perché quando sei incinta cominci a pensare a te stessa in maniera diversa, e la società – e chi ti sta intorno – ti pensano e ti vedono in una maniera diversa, quindi volevo cercare di esprimere questi sentimenti contrastanti, conflittuali. Sono domande che ti turbinano in mante e volevo la possibilità di raccontare queste domande, anche perché le risposte non le avevo, ma tante domande sì: anche chiedermi ‘se io fossi rimasta incinta a 23 anni, sarebbe stato un disastro?’, ‘perché quando si è in un’età più fertile i figli non li desideri e quando invece cresci è la cosa che più vuoi, magari avendo poi bisogno di farti aiutare?’. Volevo porre tutte queste domande e capire anche perché quando si comincia a creare questa famiglia nucleare ci siano una serie di ruoli: mi sono voluta opporre a tutto questo, perché ci possono essere dei padri che possono offrire cura e attenzione più di quanto non possa fare la madre; perché deve dominare per forza lo stereotipo della madre? L’idea era anche un po’ quella di sconvolgere gli stereotipi a cui siamo abituati.
La responsabilità e lo spasso, il rifiuto e la spregiudicatezza, l’ironia e l’indipendenza: Rakel è tutto questo nella sua mente e nel suo corpo, che però adesso non è più “in solitaria” ad affacciarsi su un mondo che in fondo le potrebbe offrire di essere qualsiasi cosa lei desideri, ma non madre; no, questo non lo aveva desiderato e non lo desira ancora, ma lo è. E il padre? Poco, anzi nulla le importa capire chi possa essere, il bebé per lei è l’unico soggetto di interesse di questa questione-bomba, che le sta deflagrando dentro – da sei mesi, quando se ne rende conto – e nella testa.
La storia arriva dal romanzo a fumetti Fallteknikk di Inga Sætre (2012) e arriva dalla Norvegia. Esce in sala in Italia dal 13 ottobre con Tucker Film, ma il viaggio festivaliero del film ha già tracciato una propria storia, scrivendo segni tangibili: Miglior Commedia agli EFA – European Film Awards, è stato premiato anche al Giffoni e al South by Southwest (SXSW) di Austin.
Yngvild, essendo tratto da una graphic novel, ha mai pensato di realizzarlo completamente in animazione? No, perché l’idea di mescolare live action e animazione è arrivata molto prima di pensare di adattare dal libro, Fallteknikk. Io ho lavorato con l’animazione in precedenza, nei miei corti e nei documentari, ma l’idea qui era proprio quella di testare il mix in maniera integrata: mentre in precedenza avevo usato l’animazione un po’ come cornice, come fosse un condimento, come il prezzemolo che s’aggiunge alla fine del piatto quando pronto, in questo caso volevo ci fosse proprio un’integrazione, cioè che l’animazione facesse parte integrante della narrazione; volevo fosse parte del personaggio, del suo corpo, della storia. In futuro non so, forse farò qualcosa di sola animazione, anche perché mi piace moltissimo, ma altrettanto mi piace lavorare con gli attori e vedere come danno vita e corpo alle parole.
Come detto, è un film che è stato premiato e apprezzato, da adulti e adolescenti, come al Giffoni italiano, ma in molti Paesi del mondo: ha avuto occasioni di confronto con il pubblico e ha raccolto modi differenti di confrontarsi col film in base all’origine di provenienza geografica/sociale? La cosa interessante del viaggio che sto facendo con questo film – che è un film che vive di vita propria, perché era insperato che riuscisse a uscire dai confini scandinavi – è che io pensassi di aver fatto un film per ventenni, mentre con piacevole sorpresa ho scoperto che piace anche a persone di 70 e 80 anni: una 85enne mi ha detto che ha gradito moltissimo il film perché aveva in sé molte riflessioni che erano state in passato anche le sue, questo mi ha colpito e l’ho trovato interessante. La cosa bella nel portarlo in giro è che, pur incontrando culture differenti, la commedia e le emozioni sono elementi universali e questa è una cosa che ti scalda il cuore: riescono ad arrivare a colpire persone di culture e idee diverse, e di età diverse, per cui sono grata di tutto ciò.
Un racconto come Ninjababy, nella stagione in cui dominano le serie, pensa potrebbe essere adattato in più puntate? Sì, so che gli americani ci stanno pensando; potrebbero spezzare questo codice e realizzarne una serie: vedremo cosa succede.
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