ROMA. “Tra dirigere e recitare, preferisco fare l’attore” ha esordito l’enfant prodige québécois Xavier Dolan all’incontro ravvicinato con il pubblico alla Festa di Roma. “Mi manca recitare – ha aggiunto rispondendo ad Antonio Monda che ha condotto l’incontro – anche se quando dirigo gli attori recito sempre un po’ anch’io”.
Tra un estratto e l’altro della sua filmografia proiettato alle sue spalle (J’ai tué ma mère, Les amours imaginaires, Laurence Anyways, Tom à la ferme, Mommy, È solo la fine del mondo), il neanche trentenne Dolan, premiato più volte a Cannes, ha raccontato l’esordio della sua carriera come regista con un film autobiografico – l’unico, ci tiene a precisare – nel 2009.
“Ho girato J’ai tué ma mère, perché ero un attore disoccupato, avevo interrotto gli studi e mi serviva un lavoro. Allora mi sono detto che potevo assumermi da solo e non ci sarebbe stata competizione per la parte” ha detto strappando una risata al pubblico.
Dopo di allora Dolan ha girato altri cinque film di successo, che hanno ottenuto premi e riconoscimenti internazionali, è stato membro della giuria a Cannes ed è stato distribuito ovunque, ma – ha ammesso – ha visto pochi film e non ha alcuna scuola di cinema alle spalle.
L’ispirazione? Sembra nascosta nel libro “Steal like an artist” di Austin Kleon, sul “furto artistico”, che prelude alla scoperta del proprio stile per un regista emergente: “Inizi che sei fasullo e poi diventi reale” recita una pagina del libro riportata a memoria da Dolan, perché il processo creativo passa anche attraverso la citazione, “come quando ho preso ispirazione da Wong Kar-wai per il mio primo film”.
E poi c’è Titanic, la pellicola che lo ha avvicinato al cinema quando aveva 8 anni: “Il mio film preferito ancora oggi, sebbene non sia un’opera intellettuale, perché mi ha fatto decidere di fare film, mi ha spinto a sognare in grande – e ha aggiunto – a scrivere una lettera a Leonardo DiCaprio. Tra i film che hanno lasciato un segno anche Jumanji e Lezioni di piano e oggi non mi vergogno più a dirlo”.
Come i suoi personaggi, che “vincono sempre perché hanno speranza e lottano per la propria autenticità”, che si tratti di un uomo che vuole diventare donna, di un ragazzo che vuole crescere o di un giovane che si affeziona a un contadino violento. Niente a che vedere con i protagonisti della “pornografia del povero”, quel cinema – ha spiegato Dolan – in cui si raccontano solo i drammi degli emarginati senza via di uscita.
“Perché anche il dolore può essere bello, come nel film Call me by your name di Luca Guadagnino, dove soffrire per amore non è sbagliato, anzi spesso aiuta a creare, come nel mio caso”.
L’attore chiude gli incontri ravvicinati della Festa del Cinema di Roma, regalando risate e nostalgia e una chicca sul futuro: "Sarò il padre di Alessandro Gassman ne Il premio diretto da lui stesso. Lo conosco da quando era bambino e ora mi impressiona ritrovarlo regista, sicuro e determinato"
40mila presenze agli eventi organizzati a Casa Alice. Un successo per la sezione autonoma e parallela della Festa che ha già rinnovato per un biennio l'accordo con la Fondazione Cinema per Roma
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