VENEZIA – “Adoro i film di Sergio Leone e il western americano, ma soprattutto sono cresciuto con le videocassette dei film di Trinità, quelli con Terence Hill e Bud Spencer e con i film di Bruce Lee. Sono sempre stato affascinato dagli antieroi, dai cattivi, non soltanto dagli eroi perfetti ed impeccabili come nei film di John Ford”. Dichiarazione d’amore a sorpresa quella di Warwick Thornton, il regista australiano di origine aborigena, che ha portato in concorso Sweet country.
Sostanzialmente un western del bush, ambientato nel Nord dell’Australia, dalle parti di Alice Springs, nel 1929. Ispirato a una storia vera, racconta la tragica epopea di Sam, un aborigeno australiano che lavora presso una fattoria e che uccide, per legittima difesa, un proprietario terriero violento e razzista, reduce dalla prima guerra mondiale, senza Dio e senza legge, che si sente autorizzato a violentare e vessare gli abitanti del luogo. Sam sembra destinato alla forca ed è costretto a scappare a piedi insieme alla moglie, inseguito da un militare e da alcuni uomini a cavallo attraverso i deserti della zona.
Sono straordinarie le atmosfere di Sweet Country, che è girato con un occhio antropologico (Thornton aveva già diretto una notevole opera prima Samson and Delilah, nel 2009) e con largo uso di flash-back e flash-forward, un modo, come ha spiegato il 47enne regista, fotografo e sceneggiatore in conferenza stampa, per restituire lo storytelling tipico degli aborigeni, che si muove continuamente tra passato e futuro. “Sweet Country è un western in costume, con tutti gli elementi tipici del genere – afferma il regista – la frontiera, le espropriazioni di terra, la sottomissione e la conquista di un popolo, e, infine, epici, infiniti orizzonti. Il film è basato sulla storia raccontatami dallo scrittore David Tranter, la storia dell’aborigeno Wilaberta Jack, che negli anni ’20 fu arrestato e processato per l’omicidio di un bianco. Wilaberta Jack è Sam, diventato un personaggio indipendente, con una sua storia. Se Sam è il cardine della trama, la vicenda riguarda anche Philomac, giovane aborigeno di 14 anni, che vive in una fattoria e sta per diventare adulto, mentre si ritrova coinvolto nella rivoluzione sociale e nel conflitto culturale della vita di frontiera”.
Per Thornton questo film è in qualche modo anche una radiografia delle origini della situazione attuale del suo paese (bisogna pensare che gli indigeni hanno avuto il diritto di voto solo nel ’67). “Oggi viviamo i problemi di un paese che ha vissuto la schiavitù, nel film raccontiamo come questo processo ha avuto origine. Ancora oggi ci sono dei problemi rispetto al riconoscimento pieno della dignità di tutte le persone. Per quanto riguarda la situazione delle popolazioni indigene attualmente è in corso un dialogo tra comunità ed istituzioni, ma penso il governo sia molto lento nel prendere decisioni, sicuramente un dialogo e una presa di coscienza di quello che è successo sono importanti passi avanti. Purtroppo tendiamo a dimenticare il nostro passato, a rimuovere le nostre origini invece è fondamentale ricordare e raccontare, per non ripetere gli errori del passato. Conoscere la nostra storia è una priorità perché la conoscenza consente di prendere decisioni migliori. Non dobbiamo rimuovere un passato fatto di colonizzazione, sfruttamento e schiavitù”.
Nel cast, oltre al protagonista Hamilton Morris, due attori australiani piuttosto noti a Hollywood, come Sam Neill, nel ruolo di Fred, cow boy perbene animato dalla fede cristiana e da un sentimento di uguaglianza di tutti gli uomini, e Bryan Brown, in quelli del sergente che perseguita il protagonista convinto, a priori, che meriti l’impiccagione.
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