Voce fuori campo su nero. Evoca tempo andato, quiete, solitudine, e la madre (terra), a cui domanda: “dove sei?” Poi, suono predominante di archi (ma non solo), e titoli testa.
È il prologo di Voyage of Time. Il cammino della vita, primo documentario di Terrence Malick, co-prodotto da Brad Pitt e narrato da Cate Blanchett, già presentato alla 73ma Mostra di Venezia.
La prima immagine è di cielo, le nuvole si muovono e ancora la voce: “mamma, dove sei andata?”. E poi sequenze di senza tetto, anziani, persone con disturbi mentali, villaggi africani dimenticati da Dio e dagli uomini, la corrida sanguinosa … e la serenità delle giraffe a passeggio nella Savana.
Visioni ataviche o laviche, colori infuocati, corrono sulle riflessioni intorno al “donare la vita”.
Un’estetica intrauterina, sguardi sul sistema nervoso ai raggi X, una musica vibrante e crescente, di inquietudine e di suspense: una luce bianca palpita nel nucleo di un accumulo materico, rosso. Un cangiare di colori che affascina, quasi ipnotico: oltre che un film è una meditazione, che meraviglia gli occhi, guida alla riflessione interiore, celebra la bellezza del creato allo stato puro, dall’eruzione mefistofelica con conseguente fumo immacolato di un vulcano, allo scorrere di ripidissime cascate dentro le cui acque più profonde piombano i giganti tizzoni della lava, a schiudersi come l’uovo di un mammifero che sta venendo al mondo.
Malick, ancora, s’insinua tra le pieghe dell’Antelope Canyon e tra le acque trasparenti di un’altra gola petrosa: sorvola e s’immerge, tra (i colori) viola, arancione, nero, la pietra lamellare o il geiser gorgogliante, fino a finire dentro il dettaglio dell’iride di un occhio a visione centuplicata o accanto a decine di centinaia di spermatozoi che corrono verso… la conquista della vita.
L’onirismo commovente di uno “stormo” di meduse che respirano e danzano come in una coreografia idrica: questa, forse, è la sequenza più suggestiva del film, sorella di decine di altre di gigantesca emotività visiva e oggettiva bellezza.
Pochissime le parole, e sempre e solo quelle recitate da Cate Blanchett, e sempre alla madre… terra e alla sua “nascita eterna”, una terra fatta anche di “blu stremato” e abitata anche da “un bambino abbandonato”.
L’opera di Malick è una continua sollecitazione per dar eco al contrasto tra la virginale bellezza della Natura e la brutalità “bellica” della mano umana sulla stessa e sulla società delle persone.
Voyage of Time. Il cammino della vita è un film da guardare sul grande schermo, che garantisce un reciproco inchino alla Visione: quello dello schermo della sala all’estetica di Malick e quello della stessa al mezzo che assicura di amplificarne infinitamente la già sublime grazia.
“Uno dei miei più grandi sogni”, ha commentato il regista, che per approcciare e mettere in scena l’opera si è misurato con lo studio astronomico, biologico, filosofico, incontrando docenti, ricercatori e innovatori, spaziando dalla fisica all’antropologia.
Dal 3 marzo, il film esce al cinema con Double Line.
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