Primavera 1977, Modena. A completamento della bella esposizione di costumi, documenti fotografici e costruzioni scenografiche allestita da Caterina D’Amico, si svolge una tavola rotonda. Ed ecco che si alza un tale, cui qualcuno ha già dato incautamente permesso di scrivere su Visconti in uno sciagurato numero di Bianco e Nero, e riscodella, pari pari, con la dovizia di un poscritto aggiuntivo, quello che ci ha già fatto leggere sulla gloriosa rivista del CSC, in un numero dedicato alla “controversia Visconti” (sic!).
“…Non credo – dice testualmente e con profetica presunzione, anche tonale – che fra una ventina (anche meno) d’anni si parlerà di Luchino Visconti”. Poi, inappagato, aggiunge il poscritto: “Il 1954 non è l’anno di Senso, ma di Casa Ricordi di Carmine Gallone” (in precedenza, sempre sullo sciagurato numero di Bianco e Nero, il nostro aveva sostenuto i molti meriti di Giuseppe Verdi di R. Matarazzo, rispetto ai pochi di Senso). Quindi, detto il verbo, lascia la pedana degli oratori e riscende in sala, tra i sorrisetti compiaciuti di un paio di complici.
Da quel 1976-77 sono ormai passati più di vent’anni, quasi venticinque anzi. E non soltanto di Visconti non si è mai smesso di parlare, anzi si parla sempre di più; ma forse nessuno tra i cineasti recenti ha avuto un così cospicuo revival critico “post mortem” come il regista de La terra trema.
Tanto che le 343 pagine del ricchissimo, e preziosissimo, repertorio bibliografico viscontiano della Mancini (Elaine Mancini, Luchino Visconti. A Guide to References and Resources, G.K. Hall, Boston, Mass 1986), già comprendente più di un paio di migliaia di “voci”, dovrebbe essere aggiornato, se ripubblicato, ad almeno 500 pagine, per includere nella rassegna gli articoli, i saggi, i volumi e, quel che può stupire, le tesi di laurea (italiane) e le tesi di dottorato (straniere) dedicate al nostro cineasta.
Il cinema di Visconti non interessa, dunque, soltanto ciò che resta della vecchia critica di formazione neorealistica o immediatamente post-neorealistica; ma anche la nuova e nuovissima critica e le stesse giovanissime generazioni degli odierni studenti di cinema. Certo, il cinema viscontiano è molto distante, per ispirazione culturale, per scelte stilistiche e per tecnica della scrittura cinematografica dal cinema della modernità. Credo però che il magistero di Visconti appaia tuttora esemplare per la sua ineguagliata capacità di coniugare insieme cultura e spettacolo, ragione e sentimento, fantasia e storia, dramma e melodramma, speranza razionale e istintiva disperazione. Nell’attuale cinema delle rovine contemplate o del nulla accarezzato, alcuni film viscontiani (La terra trema, Il Gattopardo, per non fare che due titoli) riappaiono, o appaiono ai giovani, come veri e propri monumenti. Si può anche in qualche caso non condividerne l’ispirazione ma non si può non ammirarne la pur vitale monumentalità.
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