Vers le Sud


Vers le SudIl turismo sessuale c’entra ben poco con Vers le Sud, in concorso a Venezia 62 e distribuito da Mikado. Piuttosto è una metafora politica in cui “il sesso è simbolo di spaventose differenze tra le classi sociali, tra ricchi e poveri, e dove il disprezzo e l’umiliazione sono tanto intensi che l’unica cosa in grado di avvicinare una persona all’altra è il desiderio fisico”, spiega Laurent Cantet. Il talentoso regista di Risorse umane ha preso spunto dai racconti (contenuti nella raccolta La chair du maitre) di Dany Laferrière, lo scrittore haitiano oppositore del regime di Duvalier, minacciato di morte e costretto a fuggire dal paese, che oggi vive in Canada.
Tre nordamericane più o meno mature si incontrano in un bell’albergo sulla spiaggia. Siamo negli anni ’80, la violenza e la sopraffazione imperversano, gli abusi dei militari sono all’ordine del giorno, ma queste borghesi hanno trovato lì la loro “isola felice”, come sintetizza Charlotte Rampling. Che riflette: “le donne hanno pudore a parlare della loro sessualità, ma questo film può aprire una porta col suo approccio delicato e non spettacolare”.
Siamo in un certo senso agli albori di quel triste movimento collettivo che porta occidentali non necessariamente ricchissimi verso mete esotiche a caccia di prede poco più che adolescenti disposte a vendersi per pochi dollari. I giovani haitiani del film circondano le turiste di attenzioni non solo sessuali, a volte s’innamorano davvero, accettano soldi ma anche regali e piccole tenerezze quotidiane. “Non la considero prostituzione in senso stretto: quelle donne cercano di dimenticare le loro frustrazioni, in quelle coppie c’è uno scambio reale”, dice ancora Cantet. Che rivendica: “Raramente il cinema parla del desiderio femminile, soprattutto quando si parla di donne ultraquarantenni. Ma è anche vero che le donne tendono a cercare alibi sentimentali al loro desiderio come accade al personaggio interpretato da Karen Young, che alla fine partirà per le altre isole dei Caraibi alla ricerca di nuovi partner”.
La parte più interessante del film è quella documentaristica, quando la macchina da presa girovaga nei mercati e tra le baracche della città. Ma non è stato facile girare a Haiti. “Oggi Port au Prince, che negli anni ’70 era una capitale del jet set internazionale, è totalmente in rovina”, spiega il regista. E aggiunge: “Siamo stati costretti a posticipare di un anno le riprese perché nell’inverno 2004 è caduto il regime di Aristide ed era troppo pericoloso soggiornare sull’isola. Ci sono stati anche spari vicino al set, che spaventavano noi ma non gli abitanti del luogo che erano abituati”. E conclude: “Haiti non interessa nessuno: non c’è petrolio, non ci sono risorse. Quando Aristide è stato cacciato il mondo ha fatto promesse che non ha mantenuto e la situazione continua a peggiorare”.

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07 Settembre 2005

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