Saranno i cinquant’anni appena compiuti, ma Giovanni Veronesi sembra proprio a una svolta della sua carriera. Il re del botteghino, l’autore di Manuali d’amore e affini, sta girando un film serio. Anche se fa un po’ ridere. Una vera commedia, nella traccia di Monicelli e Scola, che ricorda, a suo dire, C’eravamo tanto amati. Anzi, è un po’ come se ne fosse il seguito. Sul set in questi giorni al Teatro Vascello di Roma – si prendono in giro contemporaneamente gli alternativi con creste punk e il tirapiedi del politico di turno col telefonino sempre acceso, anche mentre assiste a una versione underground della Locandiera di Goldoni – ecco L’ultima ruota del carro, prodotto da Domenico Procacci in collaborazione con Warner, che distribuirà da novembre dell’anno prossimo. Per girarlo Veronesi ha fatto una pausa dal contratto che lo lega da sette film ad Aurelio De Laurentiis e che prevede un altro titolo ancora da girare. Il boss Filmauro è stato “comprensivo, non si è opposto al mio desiderio di andare in una direzione diversa”, spiega il cineasta toscano, fratello di Sandro, a sua volta scrittore della scuderia Fandango (tra i suoi titoli anche Caos calmo). Decisione convinta che teorizza: “L’ultima ruota del carro è una commedia esemplare, dove si ride e si piange, come appunto in C’eravamo tanto amati e La grande guerra. I film comici che facciamo oggi sono un’altra cosa, costruiti sulla comicità di personaggi come Nuti, Antonio Albanese, Aldo Giovanni e Giacomo. Le commedie del passato sono state fraintese negli ultimi trent’anni perché il pubblico si orientava verso la comicità e anch’io ho contribuito a questo”.
L’ultima ruota del carro sarà un’altra cosa. Trent’anni di storia italiana dall’omicidio di Aldo Moro a Tangentopoli, dalla vittoria ai Mondiali di calcio dell’82 al berlusconismo. Ma non è il caso di definirlo un progetto ambizioso per Veronesi, che l’ha scritto insieme a Ugo Chiti, Filippo Bologna ed Ernesto Fioretti. “E’ una storia vera, la storia di Ernesto, appunto. Un traslocatore che è entrato nelle case di tutti per fare il suo lavoro e ha visto tutto quello che c’era da vedere, ma è rimasto un uomo onesto, passato indenne attraverso decenni di corruzione, malaffare, malasanità e raccomandazioni, un marito che non vede l’ora di tornare a casa la sera dalla moglie, sua grande amica e confidente. Ed è finalmente una coppia senza corna”.
Ernesto e la moglie sono Elio Germano e Alessandra Mastronardi (la provinciale di To Rome with Love). Per Germano, uno degli attori più richiesti del cinema d’autore, “Ernesto è una persona perbene in un mondo per male, un personaggio bello per un film che sfida la crisi. Perché la crisi porta a progetti sempre più piccoli e chiusi, mentre Veronesi tenta la ricostruzione storica con grande impegno”. Elio recita tra l’altro tutte le età del personaggio, dall’adolescenza ai sessant’anni, e c’è molto lavoro per il truccatore Rocchetti.
Ma non manca la coralità tipica dei film di Veronesi. C’è l’amico di sempre Ricky Memphis, il classico trasformista che diventa socialista quando i socialisti sono in auge e poi torna da Milano infatuato per Berlusconi, “l’uomo che si è fatto da solo, l’industriale che non ha bisogno di guadagnare e rimetterà in piedi la politica, il leader che valorizza le giovani donne nel suo partito perché non è maschilista”. C’è il socialista arrampicatore sociale correttissimo e spietato, che Sergio Rubini descrive così: “un personaggio che conoscete molto bene e che non è stato sconfitto neanche da Mani pulite, perché è sbucato fuori di nuovo negli anni ’90 e nel 2000. Sulla camicia ha le iniziali FDM non per Fabrizio Del Monte, come si chiama, ma per fijo de na mignotta”. E c’è la segretaria rampante anni ’80 che si ritrova in politica senza sapere come, pronta a tutto per far carriera. È Virginia Raffaele, per la prima volta fuori caricatura: “Il mio personaggio vi ricorda la Minetti? Beh, è una donna che punta dritto al successo, ma non è una parodia di qualcuna in particolare, fate un po’ voi”, dice l’attrice, famosa per la sua imitazione di Bélen. C’è la bidella punk claudicante (Elena Di Cioccio) e il pittore epicureo che diventa grande amico di Ernesto (Alessandro Haber). Ma c’è, soprattutto, la voglia di Veronesi di costruire un suo Amarcord personale. “Non pretendo di raccontare la storia d’Italia, ma rievoco tanti episodi che abbiamo vissuto, dall’omicidio di Cogne alla tragedia di Vermicino. Già allora, quando eravamo attirati nella trappola di guardare 24 ore su 24 un buco dov’era precipitato un bambino, bisognava accorgersi che la tv può essere uno strumento pericoloso e mostruoso”, dice. La catastrofe odierna inizia da lì? Per Elio Germano: “Oggi non so quanto l’onestà di Ernesto sarebbe premiata. Avrebbe vita difficile”. Come Silvio Magnozzi nel vecchio film di Dino Risi.
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