La comune passione per la fotografia; poi la sceneggiatura per l’una – Tizza Covi – e gli studi di psicologia per l’altro – Rainer Frimmel, hanno dato vita alla coppia di autori – italiana e austriaco – del docu-film Vera, con protagonista una delle due figlie di Giuliano (insieme all’altra, Giuliana): Vera Gemma, appunto.
“All’inizio di qualsiasi idea per un film, c’è la curiosità verso la vita degli altri e il tentativo di capire in che cosa davvero consista quella vita dietro la facciata. Durante le riprese, le persone vere rimangono vere e allo stesso tempo si trasformano in personaggi immaginari. E al termine delle riprese, persino noi non sappiamo più che cosa è vero e che cosa è stato inventato”, dicono Covi e Frimmel.
Erede di un papà divo, consacrato dagli Spaghetti Western, Vera è figlia e ombra, uno status che l’ha resa stanca, sfiancata da un’esistenza con rapporti di superficie, anche dell’apparente “alta società” della capitolina. Finché: crash! Un incidente d’auto, un bambino (Sebastian Dascalu), il padre (Daniel De Palma) dello stesso: s’azzera un’esistenza e ne prende il via un’altra? No, però Vera s’immerge per un po’ in una dimensione di borgata, resta fedele a se stessa, ma ascoltando e assaporando circostanze di precariato del vivere, e le sue conseguenze…
Il film di Covi e Frimmel è (anche) un’autoanalisi di una donna adulta, che si conferma – purtroppo – di non incarnare solo un essere umano ma d’essere strumento d’utilità altrui, a suo scapito.
Vera entra in scena di spalle, è una cow girl: tuta di pelle nera e cappello “Stetson” borchiato in capo, così fa il suo ingresso in un “dorato” evento pop della notte romana – il party del tele-coiffeur Federico Fashion Style -, prima posando per i fotografi e poi immergendosi tra il rumore musicale e umano della serata, ma non sorride, cosa che si recepisce palese, nonostante l’umore festaiolo del contesto. E Vera raramente sorride nella durata del film. Poi, lascia la festa e comincia un racconto che passa una Vera più… vera, comincia a parlare con la giovane barista di un locale in chiusura, in cui è entrata per bere “uno shottino”: tra le due un’immediata empatia, che fa parlare Vera per la prima volta nel film, e lo fa parlando di bellezza: “Io sono un po’ cresciuta con un’idea ossessiva della bellezza. A casa mia, essere belli era un dovere. Dovevi… essere bella: per forza! Guai se ingrassavi, per esempio: una cosa gravissima! Era più grave ingrassare che essere dipendenti dalle droghe”. Vera beve un sorso, si ninnola su se stessa, rivolge uno sguardo vago e malinconico verso un altrove, e poi continua nella sua “confessione” alla barista dicendo: “…che poi io c’ho un modello di bellezza tutto mio, io m’ispiro alle trans. Cioè, più somiglio a una trans e più mi sento bella”.
E poi entra in scena, di fondo, la musica, quella delle parole di Dedicato: “Ai suonatori un po’ sballati – Ai balordi come me – A chi non sono mai piaciuta – A chi non ho incontrato – Chissà mai perché – Ai dimenticati, ai playboy finiti – E anche per me – A chi si guarda nello specchio – E da tempo non si vede più – A chi non ha uno specchio – E comunque non per questo non ce la fa più”…
Costante – insieme al discorso sulla bellezza – è quello sul padre: quasi come l’icona di un santo, il suo poster enorme – mezzo busto, versione cow boy – sopra la testata del letto in cui Vera dialoga con un uomo, la situazione lascia intuire dell’intimo ma il discorso va su Giuliano; lui s’entusiasma alla sola idea di “un padre come il tuo”, affermazione a cui lei risponde prima con un’espressione perplessa, desolata, e poi dice: “non è che basti avere un padre come il mio perché ti spalanchino le porte! Me ne hanno chiusa una dietro l’altra. Anzi! era un’arma a doppio taglio”.
Vera – nel film – sembra almeno un po’ felice nelle sequenze con Asia Argento, con cui è stabile una sorellanza acquisita sin dall’infanzia: insieme cantano stornelli romani, con l’entusiasmo der ‘core, finché poi escono e Asia dice: “ti vorrei far vedere un luogo”, e la porta in un cimitero. Davanti a un monumento funebre, l’Argento chiede: “Hai capito perché t’ho portata qui? Questo è il figlio di Goethe… non ha neanche un nome, come puoi vedere”. Il tema paterno si rinnova. “Non ci posso credere”, ribatte Vera. “non sappiamo niente di questo signore, solo che era il figlio di… Goethe”, ribadisce Asia, che aggiunge: “…secondo me questa tomba è un monito, per noi, che siamo figlie d’arte”.
Vera sarà nelle sale il 23 marzo distribuito da Wanted Cinema.
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