TORINO – Vallette mute ma anche vallette filosofe, minigonne e bikini, pappagalli italiaci che molestano le passanti sole (“perché una donna perbene esce accompagnata dalla mamma o dalla zia”), mito della verginità e raid contro i primi centri di contraccezione. Ma anche primi seni nudi e interviste a Cicciolina. Sex Story, il documentario di Cristina Comencini e Roberto Moroni presentato al TFF in Festa mobile, è una carrellata nella percezione del corpo femminile dentro la nostra società attraverso una televisione, quella degli anni ’60 e ’70 molto più ironica e avanzata nel raccontare e dialogare con tutti gli strati sociali. Ne esce il quadro di un paese arretrato ma in evoluzione, pronto all’esplosione del femminismo (diverte un Marco Bellocchio che parla di coppia aperta non senza contraddizioni). Rubriche, spettacoli, caroselli, talk‐show, quiz, telegiornali, inchieste compongono una fotografia composita dei costumi sessuali dell’Italia nell’arco dei primi 35 anni di storia televisiva del Paese. Fino ad arrivare al nudo in tv e alle interviste a Cicciolina.
“Quando Maria Pia Ammirati di Rai Teche mi ha proposto un documentario – racconta Cristina Comencini – mi sono rivolta all’esperto di tv Roberto Moroni e insieme abbiamo pensato di parlare di sesso a partire dal piccolo schermo. Era un modo per raccontare la relazione uomo-donna, i corpi, la famiglia. Il materiale che abbiamo trovato nelle Teche ci ha stupito, perché la Rai di allora sapeva raccontare un argomento tabù andando contro il senso comune arcaico”. Spiega Moroni, nato a Milano nel 1968, produttore di serie televisive e narratore, nonché autore e regista per radio e tv: “La mia generazione e quelle precedenti hanno ricevuto la propria formazione dalla Rai, che documentava la vita. È stata il dispositivo fondamentale per la crescita culturale del paese. Nel doc abbiamo cercato di mostrare il rapporto osmotico tra il paese e il mezzo: dalla fine degli anni ’60 c’è stato un cambiamento straordinario. Rai e sesso sembra un ossimoro, per chi abbia in mente la tv di Bernabei e il codice Guala”.
Filiberto Guala, cattoilico divenuto poi monaco trappista, fu amministratore delegato Rai dal 1954, e definì con precisione persino le parole che non si potevano pronunciare, tra cui “cosce” (consentita solo nell’espressione “cosce di pollo”). “La Rai di quegli anni – prosegue Moroni – censura ma si prende in giro per questo”. Tra le protagoniste dei filmati anche la famosa valletta di Mike Bongiorno, Sabina Ciuffini. “Mike – racconta – mi voleva come ‘ragazzina moderna’. Nessuna accettava quel lavoro, erano tutte in piazza o al ciclostile. Mi vide mentre scendevo dalle scale del liceo Giulio Cesare di Roma con indosso una minigonna e mi offrì uno stipendio per fare la valletta parlante nel Rischiatutto. Non ero una bomba sexy e avevo rigide regole da seguire, per esempio su dove tenere i piedi, ma mi scoprirono le gambe con gonne corte e pantaloncini, però quando ci fu un concorrente sagrestano, e quindi il Papa vedeva la trasmissione, mi coprirono. Quando poi Mike passò a Mediaset, tutto questo finì”.
“Di quella tv – interviene Cristina Comencini – non è rimasto niente, oggi ci sono solo talk show politici e la politica invecchia troppo rapidamente per raccontare una società. Quindi lanciamo la richiesta di rifare il racconto di costume in tv. In quel mondo arcaico ci si confessava, nel mondo di oggi non ci riusciamo più. Sarebbe molto interessante fare delle puntate sul sesso nell’Italia di oggi, ma anche difficile perché adesso si ha paura di dire alcune cose. Il pezzo di Ugo Gregoretti sui molestatori seriali, per esempio, è attualissimo ma sarebbe anche arduo da realizzare”.
Infine il produttore Giannandrea Pecorelli, che coproduce con Rai Cinema, sottolinea la principale difficoltà di questo tipo di film: individuare tutti gli aventi diritto alle immagini.
Intesa Sanpaolo, in qualità di Main Sponsor della 36^ edizione del Torino Film Festival, ha ospitato nel grattacielo di Torino l’anteprima mondiale del film.
Ecco il video dell’evento:
L’evento genera sul territorio un impatto pari a oltre 2,1 milioni di euro, grazie ai consumi del pubblico, particolarmente appassionato e fidelizzato, e alle spese di organizzazione del festival
I dati della 36a edizione: 62.500 presenze, 2.161 accreditati (stampa e professionali/industry), 26.641 biglietti singoli e un maggior numero di proiezioni gratuite e di ingressi omaggio, rispetto all'edizione 2017
Il regista incontra il pubblico al Torino Film Festival prima della proiezione di Santiago, Italia, il suo documentario sul Cile di Allende e il colpo di stato di Pinochet. "Mentre lavoravo al montaggio, mi sono accorto che il film doveva finire in Italia e raccontare una storia italiana di cui andare orgogliosi, proprio oggi che una grande parte della nostra società è chiusa all'accoglienza"
La Giuria di Torino 36 presieduta da Jia Zhang-ke (Cina) e composta da Marta Donzelli (Italia), Miguel Gomes (Portogallo), Col Needham (UK), Andreas Prochaska (Austria) assegna il premio al Miglior film a