PESARO – La fama di Lucio Fulci (1927-1996) continua ad essere alimentata dagli appassionati dell’horror, del thriller e del gore grazie a titoli come Zombi 2 e Non si sevizia un paperino. Ed ecco che la Mostra di Pesaro costruisce attorno al regista romano una serata cult: con la copia ristampata dalla Cineteca Nazionale di Sette note in nero, il giallo con spunti parapsicologici del ’77 che ruota attorno al ritrovamento del cadavere di una donna murato in una nicchia di un casale, e con il doc di Antonietta De Lillo La notte americana del dottor Lucio Fulci (1994), mentre un giovane cineasta, Simone Scafidi, annuncia di aver girato Fulci for fake, in arrivo in autunno di cui propone le prime immagini in un trailer.
Commistione tra documentario e film di finzione, il falso biopic ha come protagonista Nicola Nocella nel ruolo di un attore che vorrebbe essere John Belushi ma deve invece interpretare il re del B movie senza neppure conoscerlo abbastanza bene. Va quindi in giro a chiedere lumi intervistando suoi amici ed ex collaboratori. “Cerco da sempre di incontrare il pubblico seguendo le mie passioni personali, come ho fatto col documentario Zanetti Story – spiega Scafidi – e Fulci è il mio regista del cuore. Ero un adolescente di provincia. A Tortona nessuno sapeva neppure chi fosse, essere suo fan mi rendeva diverso e unico, proprio come si vuole essere da ragazzi. Poi ho scoperto che, pur essendo morto da 22 anni, è amatissimo in tutto il mondo, anzi la sua fama continua a crescere. Quindi Fulci for fake vuole essere, perché no, anche un’operazione commerciale. Per lui che si definiva il terrorista dei generi, occorreva un biopic che ne restituisse anche l’ambiguità. E dunque il titolo è un omaggio a Orson Welles e alla menzogna sistematica. Ad esempio raccontava un aneddoto secondo cui Brian De Palma gli aveva detto che la gente non era andata a vedere il suo film Zombi 2 per paura delle BR. Peccato che non avesse mai incontrato De Palma in vita sua. Ma con questa e altre storie aveva creato e alimentato il mito di se stesso”.
Anche il richiamo alla ‘notte americana’ vuole sottolineare questa propensione alla menzogna, come spiega Antonietta De Lillo che incontrò per un pura casualità il poeta del macabro, come amavano definirlo i francesi. Fu l’amico Marcello Garofalo a proporle di farne un ritratto, “non lo conoscevo ma mi sembrò subito una buona idea perché su di lui non c’era molto materiale. Era un grande artigiano coltissimo e l’incontro con lui mi ha indirizzato ancora più verso i generi. Cerco sempre di appoggiarmi a un genere nei miei film per quanto d’autore”. Frutto di una lunghissima intervista a ruota libera, in parte ancora inedita, il documentario in 30′ ci fa entrare nell’universo di Fulci attraverso le sue stesse parole, spesso contraddittorie. Bloccato sulla sedia a rotelle dal diabete, ecco un uomo istrionico dal passato anche doloroso, che strappa più volte la risata con i suoi attacchi ai critici troppo seri per capire le sue scorribande (Tullio Kezich), ma anche ai colleghi registi, di cui non salva praticamente nessuno. Né tra gli autori (Citto Maselli, Marco Bellocchio) né tra gli affini a sé (Bava, Argento).
“E’ stato Tarantino – dice ancora De Lillo – a far diventare il cinema di genere italiano un fatto internazionale. E siccome ci sono corsi e ricorsi storici oggi è ampiamente praticato nelle serie tv. Le serie e le piattaforme ci fanno bene, mettono il cinema in condizione di essere competitivo. Nel genere bisogna sottostare a regole narrative e cercare di farle proprie”, dice ancora la regista, che sta pensando proprio a un progetto di serialità.
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