BERLINO – Siamo ormai alla vigilia della consegna degli Orsi: il concorso ha sparato tutte le sue cartucce e molti festivalieri sono già ripartiti. Si tenta di fare qualche pronostico e tra i favoriti c’è sicuramente un film tedesco (in concorso ce n’erano quattro, più varie coproduzioni): il migliore è Kreuzweg, la Via Crucis della giovane Maria (la bravissima Lea van Acken) raccontata dal bavarese Dietrich Bruggeman, in testa alle classifiche della critica internazionale. È un film che prosegue una ricerca compiuta nei paesi di lingua tedesca da autori come Philip Groening (La moglie del poliziotto) o Jessica Haussner (Lourdes) sia per i temi trattati – la religione come gabbia, la violenza psicologica, l’annientamento della personalità – che per la durezza e la freddezza dello stile. Ottime opportunità di vittoria anche per Boyhood del texano Richard Linklater: un ritratto di un microcosmo ma anche di un’intera società con i cambiamenti politici attraversati dagli States negli ultimi tre lustri, da Bush a Obama, con una scelta forte e originale, quella di parlare di una famiglia attraverso la crescita di un bambino che il regista ha filmato a più riprese, dal 2002 ai giorni nostri, per dodici anni. Non un documentario ma un film di finzione a pieno titolo, con protagonista Ellar Coltrane, che cresce davanti ai nostri occhi. Nel cast anche Ethan Hawke, che meriterebbe un premio, e Patricia Arquette, genitori separati del ragazzo. Lo vedremo anche in Italia perché l’ha acquistato la Universal. E sempre per restare in America, naturalmente, non ha lasciato indifferenti il film d’apertura, The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson. La sorpresa potrebbe essere Black Coal, Thin Ice, noir cinese alla Raymond Chandler firmato dal regista Diao Yinan per proseguire con una certa tradizione della Berlinale di privilegiare opere extraeuropee. In pole position anche ’71 di Yann Demange, sul conflitto nord irlandese, e In order of disappearance di Hans Petter Moland, divertente noir nordico con il bravissimo Stellan Skarsgard e un cameo di Bruno Ganz. Infine è piaciuto anche Aloft della peruviana Claudia Llosa con Jennifer Connelly.
Il festival ha sparato l’ultima cartuccia di un certo calibro fuori concorso con il documentario ancora in progress di Martin Scorsese (ne parliamo in un articolo a parte) e con la nuova versione della fiaba La bella e la bestia firmata dal francese Christophe Gans, che in Italia uscirà il 27 febbraio. Protagonisti di questo ennesimo adattamento per il grande schermo della celebre storia che affascinò Jean Cocteau e Walt Disney sono Léa Seydoux (in un ruolo opposto a quello della ragazza dai capelli blu interpretato per Kechiche nella Palma d’oro di Cannes La vita di Adele) e Vincent Cassel in un film ridondante di effetti speciali e metamorfosi varie ma piuttosto inutile e persino con qualche momento di umorismo involontario a giudicare dalle risatine della platea internazionale qui al Festival. Il film ha il merito indubbio, per i padroni di casa, di essere stato girato negli storici studi di Babelsberg, vicino Berlino. “È qui – dice il regista non senza una certa enfasi – che i capolavori del cinema tedesco come Metropolis, Die Nibelungen e L’angelo azzurro sono stati realizzati e qualche volta la sera, mentre passeggiavo per quei luoghi, pensavo che anche Fritz Lang aveva lavorato qui”. Mentre sull’eredità di Cocteau non si sbilancia: “Non ho cercato di fare un remake della sua versione, ma piuttosto un nuovo adattamento. Mi sono ispirato alla versione lunga della fiaba, quella di Madame de Villeneuve, che a sua volta fa riferimento alla mitologia greca e romana e specialmente alle Metamorfosi di Ovidio, in cui gli dèi prendono forme animali o vegetali per sedurre i mortali, in cui c’è un forte legame tra l’uomo e le forze della natura. Ma ho cercato anche di dare maggiore spazio alle figure che Cocteau accenna appena, come il padre di Bella, un mercante che perde tutta la sua fortuna a causa di un naufragio dei suoi velieri, interpretato da André Dussollier, o i suoi fratelli e le sue sorelle”.
Alla prossima edizione della Berlinale, 5-15 febbraio 2015, sarà presentata una retrospettiva dei film del regista, a cui il festival renderà omaggio. lo ha annunciato il direttore Dieter Kosslick
Prende il posto della storica manager Beki Probst, che assume l'incarico di presidente di EFM e affiancherà il nuovo direttore
Sarà la Satine Film a distribuire in Italia due delle pellicole vincitrici all’ultimo Festival di Berlino: Kreuzweg di Dietrich Brüggeman - Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura e Premio della Giuria Ecumenica - e Difret, film dell'etiope Zeresenay Mehari coprodotto da Angelina Jolie, già vincitore del Sundance, che si è aggiudicato il premio del pubblico nella sezione Panorama
L'Orso d'oro e l’Orso d’argento per l’interpretazione maschile vanno al fosco noir Black coal, thin ice di Diao Yinan insieme al premio per il miglior contributo tecnico alla fotografia di Tui na di Lou Ye. Un trionfo cinese a conferma della forte presenza al mercato di questa cinematografia. Importante anche l’affermazione del cinema indipendente Usa che ha visto andare il Grand Jury Prize a Wes Anderson per il godibilissimo The Grand Budapest Hotel. Il talentuoso regista ha inviato un messaggio nel suo stile: “Qualche anno fa a Venezia ho ricevuto il leoncino, a Cannes mi hanno dato la Palme de chocolat, che tengo ancora incartata nel cellophane, finalmente un premio a grandezza naturale, sono veramente contento”. Delude il premio per la regia a Richard Linklater che avrebbe meritato di più