Una famiglia e la Rivoluzione dei garofani

La tenuta del portoghese Tiago Guedes in Concorso con montaggio Roberto Perpignani: proprietario terriero progressista in un Paese fascista, attraversati dalla Rivoluzione dei garofani


VENEZIA – Sullo sfondo ravvicinato della Rivoluzione dei garofani del ’74, colpo di Stato incruento da parte dei militari progressisti, punto di fine del regime di Antonio Salazar e innesco di due anni di transizione verso la riaffermazione della democrazia, ecco La tenuta (A herdade) di Tiago Guedes, film in Concorso, che annovera al montaggio un prestigioso nome italiano, quello di Roberto Perpignani, fedelissimo dei fratelli Taviani, tra gli altri, e che racconta di aver imparato il portoghese proprio su un set cinematografico, “anche se mi dicono che parlo un portoghese un po’ contadino, per questo probabilmente mi sono sentito affine al contesto campestre del film. Sono stato chiamato da Paulo Branco – il più importante produttore portoghese – che mi ha detto di volere per il film un grande montatore, io non mi considero tale, piuttosto abbastanza giovane da capire la complessità del film”.  

In primo piano João Fernandes (Albano Jerónimo), considerevole proprietario terriero che, nell’area sud del fiume Tago, possiede una vastissima tenuta, una sorta di zona franca progressista, rispetto alla dittatura fascista in essere, da cui però lo stesso João non può essere completamente estraneo, essendo genero di un generale, padre della moglie Leonor (Sandra Faleiro). 

La tenuta inizia sullo schermo nel 1946 e con una panoramica sull’assolata campagna portoghese: un albero, un uomo più anziano, uno adulto ma più giovane, un altro impiccato alla pianta e un bambino, questi ultimi due: il piccolo João Fernandes e il suo papà. La situazione insegna subito all’innocente creatura che le cose possono, sempre, drasticamente cambiare.   

La visione scorre immediatamente in avanti al ’73, con un Albano Jerónimo che dà al suo personaggio adulto un personale volitivo, oltre che il ruolo famigliare di marito e padre, formalmente “tutto d’un pezzo” eppur non così fedele al suo status. Un progressista di spirito e nella maniera in cui gestisce la sua proprietà, ricchezza floridissima e per cui lo Stato fascista, nelle persone del ministero dell’’Interno, con intimidazioni formalmente celate da apparente cortesia, lo sollecitano ad esporsi politicamente, richiesta che João respinge ma che con l’andare del tempo, e della narrazione, fanno crescere e mostrano come le eredità materiali, quelle morali, le atmosfere sociali e politiche, possano intaccare anche la più salda delle fermezze. 

João Fernandes per il mondo della sua tenuta è un uomo di carisma, così con le persone che con lui collaborano all’interno di questa sorta di “cittadella fuori dalle linee” che lui difende e costudisce a costo di tutto, anche di un’attesa cura di Leonor, moglie nata borghese, ma “condannata” a condurre una vita, seppur molto agiata, solo atta a figliare e ad essere sostanzialmente una casalinga. 

Di questo racconto storico, e delle ombre della famiglia Fernandes, intrinsecamente scossa dalla Rivoluzione – non solo qualcosa che succedeva a Lisbona e si guardava nelle immagini che passava la tv, il regista Tiago Guedes spiega il film dal titolo, significativo: “La ‘herdade’, dal latino ‘hereditas’, è in questo film un regno, che funge da metafora di tutto quello che succede al protagonista. La sua proprietà e il trascorrere del tempo, in principio grandiosi, sono destinati a incontrarsi con il cambiamento, con le imperfezioni, le zone d’ombra. Eppure portiamo sempre con noi qualcosa che non riusciamo a controllare, qualcosa che abbiamo ereditato, i condizionamenti”. 

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05 Settembre 2019

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