Un orso per amico

Una storia di avventura e amicizia, tra un bambino e un cucciolo di orso polare, è alla base de Il mio amico Nanuk, al Festival di Roma con Alice nella città


Una storia di avventura e amicizia, tra un bambino e un cucciolo di orso polare, è alla base de Il mio amico Nanuk, film girato a quattro mani da Roger Spottiswoode – autore hollywoodiano di cui si ricorda in particolare 007: Il domani non muore mai – e Brando Quilici (per le sequenze artiche). La pellicola è evento speciale organizzato al Festival di Roma in collaborazione con Alice nella città e sarà in sala dal 13 novembre. Genesi particolare per quest’opera per ragazzi: “Senza Medusa – spiega Quilici – non sarebbe esistito il film, anche se poi abbiamo cercato altri fondi, dal Canada ad Abu Dhabi. Ma tutto è iniziato da due paginette di soggetto che ho portato a Gian Paolo Letta che mi disse: ok, ti aiutiamo per lo sviluppo della sceneggiatura, ma non è un impegno a fare il film. Del resto per l’Italia è un prodotto complesso e insolito. Quindi andai a Londra a parlare con lo sceneggiatore Hugh Hudson, e il contratto che avevo in mano mi aiutò perché Medusa è rispettata in tutto il mondo, specie da quando ha vinto l’Oscar. Ci ha aperto le porte. Per avere visibilità a livello internazionale era necessario avere sceneggiatori internazionali. Hudson è un tipo particolare, lunatico, sapevo che non mi avrebbe permesso di mettere mano alla sceneggiatura ma quando parlai alla Universal il suo nome fu fondamentale: ‘un film di Hudson sugli orsi? Ci interessa!’. Quindi ho fatto bene a sacrificare il mio ego personale. A quel punto intervenne anche Jake Eberts, un grande produttore canadese che aveva fatto anche Ghandi e Balla coi lupi. Io ero come una formica tra due giganti. La scena al campo dei balenieri è stata particolarmente lavorata: Eberts aveva avuto una brutta esperienza con un film di Jean-Jacques Annaud in cui si vedeva uccidere una tigre, e che fu attaccato dagli animalisti. Purtroppo Eberts se ne è andato a settembre, stroncato da un cancro. Ha lavorato fino a una settimana prima di morire, con me via mail. Mi aveva anticipato che avrebbe incaricato suo figlio di seguire il film perché lui non ce l’avrebbe fatta. E ha fatto la cosa più bella del mondo presentandomi Roger, che ha dovuto cambiare un po’ di cose, dato che Hugh aveva scritto delle sequenze alla James Bond, molto difficili da realizzare. Abbiamo anche ritoccato i dialoghi”.

“Ero preoccupato da freddo – racconta Spottiswoode – mentre Brando continuava a dirmi che sarebbe stata un’esperienza fantastica. E aveva ragione, una volta che sei lì, in mezzo ai ghiacci dell’artico, è un posto talmente meraviglioso, che non ti importa più di niente. Il piccolo interprete Dakota Goyo e il cucciolo hanno formato una vera famiglia, e questo orsetto era veramente meraviglioso, non tanto per il suo aspetto bianco, dolce e pelosetto, ma perché era pieno di gioia. Era cresciuto in cattività e per la prima volta vedeva la neve. Non faceva che saltare e rotolarsi. Ed era come i miei figli quando avevano due anni: aveva sonno, aveva fame, si emozionava, si arrabbiava e poi chiedeva scusa. Non ha mai tentato di graffiare o fare del male al suo piccolo amico, e quello che vedete nel film è vero. Quando Dakota cade in acqua l’orso si spaventa davvero, e lo salva. Non è una cosa che puoi insegnare. E’ cinema verità, come quello che nasce in Italia e in Francia”. “La più grossa difficoltà – spiega Quilici – è stata la velocità con cui cresceva l’orso. Ora quel cucciolotto è un bestione di 250 chili e presto arriverà a 500, è maschio per cui è in cima alla catena alimentare. Anche per questo era necessario completare le riprese in fretta, avevamo 32 giorni. Io ero sempre con Roger anche quando lavorava lui e lo vedevo immerso nell’acqua o sopra una lastra di ghiaccio e dicevo: ‘mamma mia, speriamo che regga!’. E’ proprio un regista d’azione”.

“L’azione era tutta nella sceneggiatura – risponde Spottiswoode – la trama stessa, con un bambino disperso tra i ghiacci insieme a un orso, porta a questo genere di situazione. Era una buona idea e ne è venuta fiori una buona sceneggiatura. E’ una storia piuttosto semplice in realtà dove non è necessario starsi troppo a inerpicare su dialoghi complessi sull’ecologia, sul Grande Nord eccetera… è un viaggio di formazione e noi sappiamo già bene che il protagonista crescerà e aiuterà gli orsi e l’ambiente. Abbiamo girato con 4 Alexis e una Nikon, e poi abbiamo fatto la correzione del colore per omogeneizzare il tutto. Credo che solo un occhio allenato possa notare la differenza”.

“Io spero che il film – continua Quilici – faccia conoscere un mondo meraviglioso come quello dell’artico a gente di tutte le età che ama gli animali. Ha fatto molto scalpore l’episodio dell’orsa uccisa in Trentino però io non penso che noi siamo un popolo anti-animalista. Penso solo che si possano fare degli errori. Ho filmato il censimento degli orsi polari nella baia di Hudson quindi so come funzionano le cose. Bisogna stare molto attenti a come trattare gli animali, dosare bene la quantità di droga che gli si somministra in base al peso dell’orso. E calcolare che, anche se è paralizzato, l’animale ti guarda e vede tutto quello che accade. Sta lì con gli occhi aperti e questa lingua penzoloni che puzza di pesce, e non bisogna spaventarlo o fare troppo rumore. Ora, sapendo come funzionano le cose in Italia, immagino quel poveretto spedito lì a dar la caccia all’orsa da chissà quale sottosegretario, stanco, senza fondi. E’ molto triste quello che è accaduto ma non mi sento di dare la colpa solo a quella persona”.

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18 Ottobre 2014

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