Un grido di libertà dentro un taxi. Panahi in concorso

Il regista iraniano ha sfidato per la terza volta i divieti del regime, girando un film dentro un'auto con lui stesso alla guida


BERLINO – “Sono un regista. Non posso far altro che girare film (…) Il cinema come arte diventa la mia principale preoccupazione. È il motivo per cui devo continuare a fare film, in qualsiasi circostanza mi trovi, per rispetto di me stesso, e per sentirmi vivo”. Presentato stamattina in concorso alla Berlinale, Taxi è il terzo film che il regista iraniano Jafar Panahi ha girato – ed è riuscito a far partecipare a un festival internazionale – da quando nel 2010 è stato condannato dal governo del suo Paese a non viaggiare, non fare film, non rilasciare interviste. Due anni fa, proprio qui a Berlino, il suo Closed Curtain vinse l’Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura, oggi Panahi apre la giornata del festival lanciando un sasso cinematografico nello stagno della censura iraniana, piantando due telecamere su un taxi in giro per le strade di Teheran. Quasi come un Locke neorealista, Taxi racchiude un’intera società, i suoi slanci e le sue contraddizioni, nel ristretto spazio dell’abitacolo di un’auto alla cui guida non c’è altri che il regista. E compie una mirabile sintesi di stili e generi cinematografici che non trascura nemmeno il gusto per la (auto)citazione ammiccando a Lo specchio e Offside, altri due titoli di Panahi.

Sui sedili montano due estranei che innescano una accesa discussione sulla Sharia e la pena di morte, poi un uomo grosso e sudaticcio che vende dvd piratati (c’è anche Woody Allen nella sua library) e riconosce subito il cineasta al volante, poi ancora una donna con il marito sanguinante – vittima di un incidente – da portare di corsa in ospedale, e la nipote che studia cinema e riferisce allo zio cineasta le regole base che le sono state insegnate, tra cui il monito a evitare ogni “sordido realismo”. Tra i frammenti di umanità iraniana che completano l’affresco poetico e vivace tracciato da Panahi nella sua macchina gialla c’è anche un’avvocatessa impegnata nella difesa dei diritti civili delle donne, a cui è proibito anche seguire gli sport dal vivo.

“Siamo convinti che Taxi darà il suo contributo al cambiamento di quel Paese”, ha dichiarato il direttore della Berlinale Dieter Kosslick, che ha spiegato che “a Panahi è proibito di lavorare, non di muoversi liberamente. Questa volta è montato su un taxi, ha fissato due camere, una su di lui, una sull’ospite di passaggio, e ha raccontato la sua storia”, mentre non è dato sapere come il film sia arrivato al festival tedesco. Fatto di cui il governo iraniano non è certamente felice, ma “La Berlinale – afferma Kosslick – dal 1951 lotta per la libertà dell’arte e di opinione e dedica ogni sforzo all’avvicinamento delle culture. Noi continueremo a invitare Jafar Panahi finché finalmente la sua sedia verrà occupata”.

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06 Febbraio 2015

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