Un luogo, Taurus City. Un potente corrotto, Michael Ocean (Danny Glover, compagno di scena di Mel Gibson in Arma Letale), metafora di quel Poseidone che nella mitologia è avversario di Ulysses, qui soprannome di un militare di carriera (Andrea Zirio), segnato volto e anima da sette anni di guerra.
Siamo nel 2020 e un proclama radiofonico annuncia gli Stati Uniti d’Europa, alla vigilia dell’anniversario della città postmoderna, gestita dal dominio di Ocean, anche padre di Penelope (Anamaria Marinca, protagonista del film Palma d’Oro, 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni di Cristian Mungiu).
E’ il momento di tornare a casa per Ulysses, tornare nel porto sicuro, dove invece la moglie sembra scomparsa. Niko (Drew Kenney), fedele compagno d’armi di Ulysses, lo assiste – presente/assente – nella sua personale Odissea alla ricerca della donna. La ricerca come un viaggio di incontri con figure inquietanti e surreali, nel ventre del capoluogo piemontese: l’uomo del kebab Pòpov (Stewart Arnold), il dio dei venti Aeo (Giovanni Mancaruso), la conturbante transessuale Hermes (Mario Acampa), la maîtresseCici (Sigal Diamant), The Seer (Skin), l’oracolo che aiuta Ulysses a ricordare il suo passato, la detective (Jessica Polsky) con il suo supervisore, interpretato dal famoso attore della soap Beautiful, Daniel Mcvicar, la seducente Kaly (Charlotte Kirk) e il tormentato Alcyde (Udo Kier, icona e feticcio per registi come Gus Van Sant, Werner Herzog, Dario Argento e Lars von Trier). Una galleria di tipi umani, di psicologie che sono mattoni per costruire la psicologia del racconto e restituire a Ulysses, nel bene e nel male, un pezzo della sua storia: personaggi da girone dell’inferno, para-circensi, dall’ambigua identità che, ad effetto domino, sono connessi da un filo rosso. Ulysses è una pedina della scacchiera, “il cavallo azzoppato” dal re.
Il regista Federico Alotto, che con il protagonista Andrea Zirio ha scritto il soggetto – poi sceneggiato con James Coyne (autore della prima stesura di Sherlock Holmes 3) – hanno presentato il film a Roma, anche nel ruolo di produttori e distributori, raccontando con l’entusiasmo e la caparbietà proprie dell’opera prima il lungo viaggio fisico, pratico ed esecutivo della produzione, che ha permesso, nell’arco di dieci anni, la nascita del film. “Ho fatto studi classici e Ulisse è stato sempre un mio mito occidentale, incarna astuzia e non solo forza fisica – ha detto Zirio. Siamo arrivati a Hollywood in occasione di un premio al Beverly Hills Film Festival, per un nostro corto, I see monsters, che ha vinto 30 festival nel mondo. Lì, in maniera rocambolesca, abbiamo conosciuto il produttore Steven Paul, che ci ha suggerito James Coyne per la sceneggiatura. Il nostro ufficio era Starbucks in quel periodo: adesso lui guadagna milioni di dollari per scrivere, mentre noi per ora siamo ancora nelle condizioni di essere qui per questa presentazione, anche grazie a chi ci ospita a Torpignattara”. Con queste parole piene di genuino trasporto la coppia artistica ha però dichiarato subito la propria connessione con il sogno americano, seppur non semplice da far divenire poi realtà immediata, come ha raccontato Federico Alotto: “Dopo la scrittura, siamo stati altri tre mesi negli USA per cercare di convincere gli interpreti, i grandi attori si tutelano parecchio. Il primo che siamo riusciti ad agganciare è stato Danny Glover, la cui adesione ha dato poi fiducia al resto del cast per la propria conferma. Lui ha letto lo script e gli è piaciuto molto, ma voleva conoscere il regista: ci siamo incontrati a Sunset Blv. ad un ristorante cinese. Io ero nascosto dentro un cespuglio, su suggerimento della nostra producer, mentre lei pranzava con Danny. Dopo una finta telefonata, mi ha fatto poi sbucare e passare vicino a loro, come fosse casuale. Lui a quel punto ha parlato un’ora e mezza di politica, ma nulla del film, niente. Alla fine gli ho chiesto almeno un selfie. Dopo una settimana ricevo una chiamata da un numero anonimo: era lui, mi ha parlato del film e del ruolo, dicendo espressamente che voleva fare Ocean, anche per punti di contatto personale col personaggio”.
L’avventura sembrava così avviata, ma di certo non era finita, come continua a spiegare Zirio: “Abbiamo avuto l’occasione di girare negli Stati Uniti prodotti da Steven Paul, ma con la clausola di non essere noi regista e protagonista. Lui per quello voleva Jim Caviezel. Abbiamo declinato l’offerta, fedeli a noi stessi e ad una promessa che ci eravamo fatti con Federico. A quel punto abbiamo bussato la porta a 150 aziende del nostro territorio, il Piemonte, e l’ultima, la Argimonio Srl di Alberto Sola, ha messo la prima parte del budget: 800 mila euro totali, infine, è stato il costo della produzione” che: “si è deciso di girare in inglese per il mercato internazionale, ma nella versione italiana Andrea è stato doppiato da Adriano Giannini – ha continuato Alotto. Il nostro, da questo punto di vista, è un film 100% italiano, 100% indipendente. Le riprese sono durate 7 settimane, oltre ad una successiva con Skin, che è subentrata dopo. Abbiamo avuto l’intuizione di agganciare anche una star che non fosse del cinema, per coinvolgere anche un altro tipo di pubblico, forse anche perché la mia formazione è musicale. Siamo riusciti, anche qui dopo peripezie, a metterci in contatto con lei: ci ha incontrati a Milano, e in un paio di giorni ci ha confermato la sua presenza. Una delle settimane di set è stata in Sardegna, per la scena del mare, che naturalmente a Torino manca. Nella nostra città, invece, abbiamo deciso di cercare angolazioni meno note, per darle un’identità forte, perché era per noi la protagonista. Sono stato ispirato da Refn e da certe scelte musicali di Lara von Trier. Il primo cut del film era di 3 ore e ho dovuto così tagliare interi personaggi per ottenere una durata finale di un’ora e 45 minuti”.
Un film che si dichiara contemporaneo, addirittura postmoderno, ma che ha radici nel mondo classico: “L’inizio dello script ha riferimenti più espliciti all’Odissea omerica, da lì parte il flash back dopo la mia frase ‘Io sono Nessuno’ – ha detto Andrea Zirio. Nella seconda parte subentra James Joyce e anche la psicologia, mia formazione universitaria. La terza parte volevamo fosse più nostra, meno prevedibile, compreso il cane Argo, che non volevo morisse, in quanto il mio cane”.
Un film certamente connesso a temporalità storiche differenti dal presente stretto, ma non ad una unica e precisa, in nessuno dei livelli coinvolti, come ha precisato il regista: “Il film non si può classificare con un genere, si tratta di un pot-pourri voluto: per ogni personaggio ho deciso di usare uno stile, dallo splatter del kebabbaro al dialogo delicato con Hermes, il trans. Così anche i costumi sono stati cuciti su questa falsa riga, che ha sempre tenuto presente il contatto con la Grecia classica, ma non soltanto”.
Il film, che ha ottenuto quattro riconoscimenti al London Greek Film Festival 2018, esce in sala in 25 copie (il primo fine settimana) dal 14 giugno con Adrama, che ha prodotto Ulysses – A dark Odyssey con il sostegno della Film Commission Torino Piemonte.
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