Tutto iniziò con Ladri di biciclette

Un Leone d’oro a un film svedese – ed è la prima volta – premia l’opera surreale e ad alto tasso alcolico di Roy Andersson A pigeon sat on a branch reflecting on existence. E lui ricambia la cortesia


VENEZIA – Un Leone d’oro a un film svedese – ed è la prima volta – premia l’opera surreale e ad alto tasso alcolico di Roy Andersson A pigeon sat on a branch reflecting on existence. E lui ricambia la cortesia inneggiando al cinema italiano, “che ha dato tanti maestri e il più grande è Vittorio De Sica. Ladri di biciclette è il film che più mi ha influenzato. Una scena le vale tutte: il disoccupato che va al monte di pietà a impegnare le lenzuola. Quella scena da sola ti fa capire quanti poveri c’erano a Roma in quegli anni. La stessa empatia l’ho cercata nel mio cinema seguendo l’esempio di De Sica”.

Ha fatto un buon lavoro la giuria di Alexandre Desplat, a parte un passo falso e un’omissione. Forse non c’è stata unanimità se è vero che Tim Roth ha voluto prendere la parola nella serata di premiazione spendendosi per The Look of Silence di Joshua Oppenheimer (Gran Premio della Giuria), che l’attore inglese non ha esitato a definire un capolavoro, dando voce al pensiero di molti. “E’ qualcosa di spettacolare che mi ha commosso, è stato come veder nascere mio figlio”. Diciamo subito che il passo falso è stato segnalare, sia pure con un premio minore, l’opera prima turca Sivas di Kaan Mujdeci, storia di un bambino e un animale con scene cruente e insistite di combattimenti di cani. L’omissione è quella di Birdman. In testa alle preferenze del pubblico, ma forse poco in linea con scelte che il giurato Carlo Verdone non ha esitato a definire “intellettuali”. 

“Abbiamo preferito opere dal gesto artistico forte, dal messaggio filosofico e politico, umanistico e poetico”, ha detto il compositore francese. L’Italia, in un anno magnifico per il nostro cinema aveva in concorso tre titoli tutti meritevoli che faranno la loro strada anche senza premi. E se Anime nere di Munzi e Il giovane favoloso di Mario Martone non compaiono nel palmarès, la doppia Coppa Volpi non sembra certo un premio di consolazione. Alba Rohrwacher e Adam Driver hanno offerto nel film di Saverio Costanzo Hungry Hearts una prova notevole di coraggio attoriale immergendosi nel dolore e nella patologia di una giovane coppia al primo figlio. “Lavorare con Adam è stata un’esperienza facile, sorprendente e felice”, ha detto l’attrice, molto emozionata sul palco. Ringraziando il suo regista e compagno, “artista coraggioso e tenace”. “Questo film esiste perché lui l’ha portato sulle spalle da solo”. Adam Driver ha avuto la notizia a Toronto: “Noi partiamo domattina per raggiungerlo e festeggiare insieme”, ha spiegato Alba.

Assente anche Joshua Oppenheimer, autore dello straordinario The Look of Silence che prosegue la ricerca intrapresa con The Art of Killing. Realizzato insieme a un anonimo – rimasto tale per tutelarsi da possibili ritorsioni – il film sul genocidio compiuto in Indonesia dagli anticomunisti che negli anni ’60 sterminarono centinaia di persone in un bagno di sangue spaventoso, fa parte di una linea di cinema che spinge il documentario oltre i suoi limiti, in un territorio di pura poesia e di umanesimo. Oppenheimer, bloccato a Chicago da una tempesta, ha inviato un videomessaggio. “Il protagonista del film voleva che incontrassi i carnefici del genocidio affinché riconoscessero quello che avevano fatto per poi poterli perdonare e vivere con loro come esseri umani e non più come vittime e carnefici. Nessuno di loro ha voluto chiedere perdono, solo la figlia di uno di loro ha chiesto scusa per conto del padre. È una testimonianza per noi occidentali che dovremmo riconoscere a nostra volta la responsabilità collettiva in questo genocidio. Ma la reazione di Venezia al film chiude il cerchio e avvia il processo di guarigione”. La buona notizia è che il film ha già un distributore italiano, la coraggiosa I Wonder Pictures.

Andrei Konchalovsky, Leone d’argento per la miglior regia, per il bellissimo Le notti bianche del postino, frutto di un complesso lavoro di osservazione di una piccola comunità ai confini della civiltà, sul lago Kenozero, farà vedere ora il suo film al protagonista, che fa veramente il postino e di cui il film racconta le giornate quasi tutte uguali eppure così emozionanti. “So che non gli piacerà e mi dirà: perché diavolo fai veder la mia vita, io faccio sempre le stesse cose, avrei preferito vedere Harry Potter”. Konchalovsky ha poi ricordato la sua prima volta sul palco di Venezia con Il primo maestro, che nel ’66 vinse per l’interpretazione femminile. Era una storia, guarda caso, ambientata in un paesino del Kirghizistan all’inizio del potere dei Soviet e parlava dell’arrivo di un maestro di buone intenzioni.

Il Premio Mastroianni all’attore rivelazione è andato al giovanissimo Romain Paul, quattordicenne dalla faccia rabbiosa. Il giovane protagonista del film di Alix Delaporte Le dernier coup de marteau, decisamente il migliore del quartetto francese, è un melodramma ben scritto su un ragazzino che ritrova il padre mai conosciuto, famoso direttore d’orchestra, mentre la madre sta morendo di cancro. Tra Gustav Mahler e una descrizione realista di situazioni al limite, il film ha molti punti di contatto con l’opera prima Angele et Tony che aveva rivelato la cineasta proprio qui a Venezia, alla Settimana della critica. Si spera che Romain Paul non sparisca dalle scene, come spesso capita agli attori bambini. Infine il premio alla sceneggiatura di Tales, film dalla lunga e tortuosa lavorazione perché alle autorità di Teheran non fa piacere veder rappresentata la società iraniana con le sue contraddizioni (si parla persino di Aids). Per l’autrice Rakhshan Banietemad: “Questo premio, il primo che riceve un mio film, cancella tutte le stanchezze e le difficoltà ed è un premio a tutti gli iraniani amanti del cinema”. I festival servono anche a questo.

72esima edizione il 2 settembre 2015.

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