‘Tutto in un giorno’, con Penélope Cruz nella comunità che resiste

L'esordio alla regia di Jean Diego Botto arriva al cinema il 2 marzo con BiM e racconta le 24 ore di tre personaggi simbolo del baratro sociale a cui in tanti sono stati costretti dalla crisi del 2008


Quante sono “le vittime dei mutui”? In Spagna, più di 100 al giorno. Circa 40mila sfratti all’anno. La crisi finanziaria del 2008 si nasconde dietro i numeri, ma è osservando le vite di chi ne ha sorretto il peso più grande che si scorge il volto del dramma. L’opera prima di Juan Diego Botto fa questo: sceglie dei volti e li pedina. Ventiquattro ore nell’esistenza di chi combatte per il diritto alla casa. Tutto in un giorno, in sala dal 2 marzo con BiM dopo l’anteprima al Festival di Venezia 2022, è un film di denuncia dal realismo classico, indagine sociale – e umana – nel baratro della speculazione immobiliare.

Tutto in un giorno parla di solidarietà e famiglia, articolata anche nella forma di comunità e sfidata dall’individualismo dei più recenti drammi sociali. Per la sua istantanea degli effetti della crisi economica, Juan Diego Botto sceglie tre punti di vista e li alterna cucendone assieme i temi e sottolineandone le differenze.

Il personaggio di Penélope Cruz, anche produttrice, è l’incrocio su cui il film ama sostare per riassumere la ricerca di Botto. Azucena è una madre di famiglia in lotta con le banche, simbolo di una resistenza ancora fiduciosa nel potere del gruppo contro le ingiustizie. Il marito, invece, scommette contro, certo che alla fine resteranno soli. La risposta, strategicamente posizionata nel finale, invita lo spettatore a fare i conti con il cinismo o la fiducia con cui guarda alla società.

Rafa (Luis Tosar) è invece l’avvocato immolato alla causa degli ultimi. Alle prese con un caso di custodia, attraversa Madrid con il figliastro per impedire l’ennesima ingiustizia sociale. Infine, la triste vicenda di Teodora (Adelfa Calvo), in cerca del figlio che non le vuole più parlare, cuce l’ultimo nodo tra i massimi sistemi delle economie occidentali in crisi e l’impatto reale sui legami umani.

Juan Diego Botto costruisce il film secondo i dettami dei maestri del genere, richiamando a più riprese anche Ken Loach. La camera a mano alterna le inquadrature fisse in piani sequenza utili a sottolineare il realismo delle vicende. Non c’è modo di dimenticare la realtà e il presente di cui il film propone un difficile controcampo senza esasperarne mai le forme: un vero megafono per vite al limite. 

Tutto in un giorno è però più fiducioso dell’ultimo Loach, e infatti chiude con la speranza di una solidarietà ancora possibile. La comunità come anticorpo e rete è assieme tesi e interrogativo. Botto indaga con lo spettatore e propone visioni che è disposto a testare nel corso delle ventiquattrore raccontate. A dominare è il volto umano della crisi, riconquista del particolare nella brutalità delle statistiche economiche, ma anche recupero del gruppo – chiamato comunità – come voce unica e solidale.

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