Ha fatto molto parlare SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano, serie televisiva documentaristica originale realizzata da Netflix, prodotta e sviluppata da Gianluca Neri per 42, scritta da Carlo Gabardini, Gianluca Neri e Paolo Bernardelli con la regia di Cosima Spender. Attraverso testimonianze e immagini di repertorio, 5 episodi racconta la controversa storia della comunità di recupero di San Patrignano fondata da Vincenzo Muccioli nel 1978, a Coriano, in provincia di Rimini. E’ stata realizzata attraverso 180 ore di interviste e con le immagini tratte da 51 differenti archivi per ricostruire la storia in modo fattuale e accurato.
La figura di Muccioli è chiaramente al centro della narrazione. In un momento in cui lo Stato non sembrava in grado di dare una risposta concreta all’emergenza della tossicodipendenza da eroina sempre più diffusa tra i giovani, Muccioli si fece carico di questo problema, accogliendo decine di ragazzi nel suo podere, presto trasformato in un’azienda agricola. Nei video raccolti si vedono genitori disperati dire che “il metodo Muccioli” funzionava e sempre più famiglie furono disposte a lasciare lì i propri figli nella speranza di poterli salvare. Tra gli anni ’80 e ’90 la comunità è cresciuta in modo esponenziale, fino a raggiungere quasi 3mila ospiti. Ma il “metodo Muccioli”, secondo molte testimonianze, era anche duro e violento, con persone tenute fino a un mese dentro a un tino, al buio e in isolamento, incatenate. Su questo si interroga la serie: quando male è giusto fare per poter fare del bene?
Per cercare di trovare una risposta la regista ha intervistato ex ospiti di San Patrignano, come Walter Delogu (padre di Andrea Delogu, che ha raccontato la sua esperienza anche nel libro ‘La collina’), autista e guardia del corpo di Muccioli, il medico della struttura, Antonio Boschini (anche lui disintossicatosi lì), l’ex ufficio stampa della comunità Fabio Cantelli Anibaldi, il figlio di Muccioli, Andrea, e Red Ronnie, amico e grande sostenitore.
Il ritratto di che viene fuori è complesso, e la serie non può dare certezze ma solo alzare molti interrogativi, non tutti piacevoli. Per alcuni un salvatore, per altri un megalomane intento a costruire il culto della sua persona, in una comunità la cui struttura piramidale fa a volte pensare a quella di una setta, dove la parola del capo è incontestabile. Si raccontano fatti gravi come il suicidio dell’ospite Natalia Berla, ma Muccioli non può difendersi da eventuali accuse, perché morto nel 1995 per cause misteriose (nella serie si fa intuire che avrebbe contratto l’HIV).
I sostenitori di Muccioli, come lo stesso Red Ronnie e Letizia Moratti (che, si dice alla fine del documentario, non ha voluto partecipare), si sono espressi negativamente sulla serie. San Patrignano, pur avendo acconsentito alla realizzazione, ne ha preso le distanze dal lavoro finale. Gli autori dicono che questo è segno di aver fatto un buon lavoro, perché non si voleva fare un santino o una condanna del personaggio, quanto raccontare un periodo storico complesso.
E nel frattempo, su ‘Italia Oggi’, si segnala che un documentario sullo stesso tema, Lontano da casa, della prodzione Bielle Ra, era in fase di post produzione in casa Rai. Ma Netflix lo ha battuto sul tempo.
Come spiega la brochure di presentazione il doc si occupa di «San Patrignano, la più grande comunità in Europa che offre un intenso programma di riabilitazione per la cura delle tossicodipendenze. Stefano, Caterina e Daniele, dopo aver vissuto per anni nel centro, sono ora pronti per tornare alle loro vite normali. Prima di partire, hanno deciso di condividere le loro esperienze davanti a una telecamera, senza filtri o moralismi».
La regia è di Maria Tilli e la colonna sonora dei Verdena.
Anche questo genera polemiche, ad esempio da parte del deputato di Italia Viva Michele Anzaldi che sottolinea come anche nella serie Netflix si sia fatto ampio uso di materiali appartenenti alla Rai, e come dunque il prodotto potesse essere commissionato direttamente dal servizio pubblico.
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