CANNES – Dopo la controversa apertura con Grace di Monaco, biopic potente ma poco attinente ai fatti storici, oggi il festival propone un’altra storia tratta da una vita vera, molto più classica e lineare. Si tratta di Mr. Turner di Mike Leigh, che ricostruisce la parabola umana e artistica del “pittore della luce”, qui magistralmente interpretato da un intenso Timothy Spall. Lungo e maestoso, il film gioca molto, oltre che sull’innegabile bravura del protagonista, su una fotografia molto raffinata (a opera di Dick Pope) e naturalmente ispirata ai quadri del rivoluzionario pittore britannico.
“Ho cercato di rendere omaggio alla tensione tra il Turner mortale e il suo lavoro epico e spirituale – dice il regista – aveva una maniera unica di catturare il momento e sapeva trarre ispirazione da ciò che lo circondava. Non si limitava a riprodurre il cielo e il mare ma era in grado di vedere al di là, l’esperienza che viveva al di là della superficie. Abbiamo cercato di ricreare l’atmosfera della sua epoca senza essere documentaristici. Per quanto tu possa studiare e leggere non saprai mai cosa accadrà quando avrai la cinepresa in mano. Per questo lavoro d’improvvisazione più che basarmi su una sceneggiatura rigida, e anche stavolta l’ho fatto. Mi hanno chiesto se questo sia un film autobiografico, e non lo è, anche se alcuni elementi sono innegabilmente influenzati dalla mia esperienza. Chiunque faccia un film ispirato a qualcuno deve necessariamente sentirlo vicino, capirlo e comprenderlo. E poi dato che anch’io sono un artista, naturalmente comprendo il territorio su cui lavoro. Man mano che inizi a fare ricerche su un soggetto, che tu lo faccia a livello superficiale o più approfondito, questo impregna la tua psiche. Lavorando a questo film non ero sempre cosciente di citare questo o quel quadro, abbiamo assorbito il tutto e poi abbiamo lasciato libero corso alla nostra creatività in mondo subliminale”.
“La parte del lavoro rigorosa – conferma il fotografo Pope – è stata una ricerca sulla palette di colori utilizzata dal pittore. E’ un argomento e oggetto di grande documentazione. Dopodiché ho seguito l’istinto”.
“Sapevo che per completare il film ci sarebbero voluti due anni e mezzo – prosegue l’interprete Spall – per cui mi sono messo a prendere lezioni di disegno e ho imparato a dipingere, con un maestro vicino a casa mia. Ho anche letto tanto, sapevo che Turner era un uomo di stile e con una sensibilità spiccata, insomma, un po’ come me. Ho focalizzato sul suo lavoro. Era anche un tipo piuttosto misterioso, non ci sono tantissimi cenni biografici su di lui. I geni non sempre sono romantici. Anzi, spesso sono persone bizzarre che vivono di conflitti e hanno difficoltà a vivere in società. Turner aveva il genio dentro di sé, ma aveva l’aria di un proletario qualsiasi. Mi è venuto naturale interpretarlo con l’emissione di tanti rumori e grugniti. Rappresentano il male di vivere che si porta dentro e che esplode nel tentativo di comunicare. Però era in grado di rappresentare alla perfezione il sentimento del sublime, quella linea sottile tra l’orrore e la bellezza della natura, e di mettere in risalto l’umiltà dell’uomo”. Dopo questo passaggio a Cannes, il regista Mike Leigh afferma sempre di più il suo status di icona del cinema britannico: “Ma – conclude scherzando – cerco di resistere alla tentazione di diventarlo. Tutti abbiamo un lato egocentrico, ma a me le icone non piacciono. Sono un iconoclasta”.
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