Mentre il giornalismo diventa sempre più residuale – con la crisi della carta stampata, i tempi ridotti dedicati alle inchieste, i continui attacchi da tutti i fronti alla professione – il cinema non smette di alimentare il mito. Anzi, come spiega James Vanderbilt, regista del film d’apertura della decima edizione della Festa di Roma, la prima diretta da Antonio Monda, “i cronisti sono degli eroi, sono loro che mantengono la società in buona salute con le loro domande”.
E così dopo Spotlight, che era alla Mostra di Venezia, arriva Truth. La verità è quella che cerca di stabilire Mary Mapes (Cate Blanchett), abile producer della Cbs che, dopo aver svelato le violenze perpetrate dai militari americani nella prigione di Abu Ghraib, denuncia il comportamento scorretto del presidente George W. Bush ai tempi della guerra in Vietnam. Bush jr., grazie alle conoscenze del padre, riuscì a farsi prendere in forze nella Guardia Nazionale dell’aeronautica del Texas dal 1968 al ’74, imboscandosi per un anno intero per dedicarsi alla politica sempre coperto dai suoi padrini. Il reportage, faticosamente costruito tra testimonianze di ex militari e documenti fotocopiati, poteva essere cruciale e costare la rielezione al presidente – siamo nel settembre del 2004 – e l’anchor di punta della Cbs Dan Rather (Robert Redford) prestò la sua enorme popolarità e il suo prestigio a denunciare il caso. Ma il servizio, andato in onda nel seguitissimo programma 60 Minutes, si rivelò un boomerang. L’autenticità dei documenti venne pesantemente messa in discussione su internet e la rete televisiva finì per scaricare i due giornalisti che vennero sottoposti a una commissione d’inchiesta interna: Mary Mapes fu licenziata in tronco, Dan Rather costretto a ritirarsi, mentre Bush venne rieletto alla Casa Bianca.
“Non avevo visto la trasmissione, ma il seguito della storia negli Stati Uniti ha suscitato un enorme scalpore e da cittadino americano ne ho seguito gli sviluppi, quindi poi letto il bellissimo libro che Mary Mapes ha dedicato alla vicenda, Truth and Duty: the Press, the President, and the Privilege of Power, e l’ho contattata. Inizialmente era sulla difensiva, poi mi ha dato fiducia”. A raccontare è il regista, alla sua opera prima dopo aver raccolto diversi consensi da sceneggiatore con film come Zodiac e The Amazing Spider Man. E’ venuto qui alla Festa ad accompagnare il suo film sul red carpet – assenti invece sia Redford che Cate Blanchett – e nel pomeriggio l’ha raggiunto Mary Mapes, bloccata da un ritardo del volo che ne ha impedito, purtroppo, la presenza in conferenza stampa. Così tocca a lui, insieme a un paio di produttori, raccontare la genesi di questo progetto. “Siamo partiti proprio dal libro e ho passato molto tempo sia con Mary che con Dan, due persone straordinarie. Ho incontrato i loro colleghi, alcuni dei quali non hanno voluto parlare in modo ufficiale di quanto è accaduto. In effetti mi sono mosso anch’io come un giornalista: facendo un’inchiesta e tenendo conto dei vari punti di vista”. In Truth, che ovviamente si inserisce di diritto in quel filone del cinema americano sul giornalismo investigativo di cui fanno parte capolavori come Tutti gli uomini del presidente – e la presenza di Redford è chiaramente un omaggio al film di Pakula – nulla è invenzione, tutto aspira alla “verità”. “Siamo stati attenti a restare fedeli ai fatti. E sono veri anche alcuni aspetti incredibili, come il rapporto tra Mary e il padre o il suo legame con Dan, che è chiaramente per lei una figura paterna”. Nel film si insiste molto proprio sul fatto che la giornalista veniva picchiata dal padre perché “faceva troppe domande” e aveva poi fatto della sua ribellione a questi soprusi una ragion d’essere. Aggiunge il regista: “Questa verità emotiva era in un certo senso la cosa più difficile da raggiungere”.
Poi Vanderbilt si sofferma sulla trasformazione epocale che il giornalismo sta vivendo con la diffusione di internet e dei blogger – furono proprio i blogger a mostrare i punti deboli dello scoop, specialmente il fatto che i documenti usati per incastrare Bush potevano essere stati scritti al computer e falsificati per l’uso di caratteri tipografici molto rari negli anni ’70. “Per decenni Rather è stato uno dei tre anchor più importanti d’America, il giornalista che tutte le sere portava le notizie in casa nostra. Adesso ho diecimila voci nel mio cellulare, qui in tasca, da cui posso ricevere le notizie. Siamo a una svolta. Ma quella fu la prima volta in cui internet influenzò l’evoluzione di una notizia, un momento storico per il giornalismo e la comunicazione. E la caduta di Dan Rather è quasi la caduta di un re, una tragedia scespiriana”.
Intanto, vero o falso che fosse lo scoop, un altro Bush si affaccia all’orizzonte politico americano, Jeb, fratello di George W. Bush. E il film, che è risultato sgradito anche alla Cbs, potrebbe in qualche modo nuocergli. “Non abbiamo un punto di vista sulla famiglia Bush – rispondono i produttori – e lasciamo decidere al pubblico. Ma sicuramente Truth contiene un avvertimento rispetto al potere in generale e per fortuna ci sono ancora giornalisti disposti a resistere e porre domande imbarazzanti”.
La pellicola uscirà il 5 gennaio 2016 con Lucky Red.
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